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Un anno dalla strage xenofoba di Macerata, Traini: “Sono pentito, la pelle non conta, in carcere si capiscono molte cose”

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Un anno fa, il 3 febbraio 2018, Luca Traini a Macerata sparava contro 9 immigrati che non conosceva, per “vendicare” il delitto di Pamela Mastropietro. Mancava un mese alle elezioni politiche, e il clima era più teso che mai. Dodici mesi dopo Ezio Mauro ha intervistato il 29enne in carcere, condannato a 12 anni per strage aggravata dall’odio razziale.

“Quando sono tornato a casa dopo la sparatoria, per cercare la bandiera tricolore, mi sono sentito svuotato, esaurito. Tutto si era compiuto. Ma se sei lupo, lo rimani per sempre”, racconta Traini.

Una delle prime domande dell’ex direttore di Repubblica è sul pentimento. Traini si dice pentito da tempo: “Per me gli spacciatori avevano ucciso Pamela, e gli spacciatori erano loro, i negri. Li chiamavo cosi. Oggi li chiamo neri. Poi, in questi mesi passati in carcere, ho lentamente capito che gli spacciatori sono bianchi, neri, italiani e stranieri. La pelle non conta. Vede, qui dentro si capiscono molte cose, guardando gli altri e parlando con loro”, spiega l’uomo.

Forti i sentimenti di “vendetta” che avevano spinto al raid xenofobo: “Per me era vendetta, certamente, ma anche un modo di fare giustizia”.

“Ero come in trance, trascinato da quel che stavo facendo, l’unica cosa che in quel momento contava per me”. Lei dice che sentiva la fiamma dell’odio: era odio razziale? “No, era odio e basta. Se fosse stato un bianco a uccidere così Pamela, avrei cercato di vendicarmi su di lui nello stesso modo. Poi, certo, c’era quel mio pensiero fisso sui neri nigeriani, lo spaccio e la fine di Pamela”, racconta ancora Traini.

Mauro chiede: “Quanto ha pesato sulla sua azione l’ideologia di estrema destra, la convinzione di fare una “spedizione contro il male?”, e Traini risponde: “Tutta la mia ideologia politica, Dio, patria, famiglia, onore, ha pesato in quel mix esplosivo. La tragedia di Pamela ha fatto da innesco, e ha incendiato tutto”.

Il racconto di quei momenti tremendi lascia piano piano il posto alla narrazione di ciò che è venuto dopo: “Nella caserma dei carabinieri mi sentivo ancora in azione, protagonista. Non volevo sentir parlare di pentimento. Arrendersi, ma non pentirsi. Poi in carcere ho avuto tempo per ragionare, elaborare, capire”, dice l’uomo.

“Dopo gli incontri e i colloqui in carcere, ho cominciato a rivisitare i miei gesti, e si è fatto strada il pentimento. Ma sono due momenti diversi”.

“Hanno contato molto, in particolare le cose che mi dicevano i miei famigliari. Ma soprattutto ha contato per me vivere in carcere con detenuti di ogni Paese: mi ha fatto capire che la pelle non conta. Mi sono reso conto che alla fine siamo tutti poveracci”, ha proseguito Traini.

E alla domanda di Mauro che gli chiede se sarebbe disposto a incontrare una delle persone a cui ha sparato, per stringerle la mano e chiederle scusa, il 29enne risponde: “Sì, ho gia chiesto scusa durante il processo. Io sono pronto”. E in chiusura una considerazione sull’odio razziale che sembra aver preso il sopravvento oggi in Italia. “L’odio non nasce per caso, è frutto di tante cose, anche di politiche errate, a danno sia degli italiani che degli immigrati”.

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