Il traffico di ostaggi e migranti che finanzia il jihadismo in Libia
A Ghat, dove sono stati rapiti gli ultimi ostaggi italiani, è difficile distinguere i trafficanti dai sequestratori o dai jihadisti. Il commento di Loretta Napoleoni
L’Italia è il paese che paga i riscatti più ricchi ed allo stesso tempo quello che ha sofferto il numero maggiore di sequestri. Una verità che le imprese di sicurezza e quelle di assicurazioni conoscono bene, ma di cui anche gli italiani sono a conoscenza.
Naturalmente, come tutti i governi europei, il nostro nega qualsiasi coinvolgimento finanziario con i sequestratori. Ma le prove che ciò avvenga le abbiamo viste tutti, ad esempio nel documentario sul business dei riscatti di al Jazeera dove la telecamera ha ripreso una piramide di contante destinata ai sequestratori di Domenico Quirico e del suo compagno di prigionia, il belga Pierre Piccinin da Prata.
Tuttavia, la maggior parte dei riscatti non sono pagati per liberare giornalisti di grido ma operai e tecnici che lavorano in zone ad alto rischio. E le cifre sono da capogiro.
Secondo l’Europol il business dei riscatti nel 2015 ha superato i 2 miliardi di dollari e una delle zone più battute dai sequestratori è stata ed è tutt’ora la Libia dove l’Italia ha grossi interessi economici.
Gli ultimi ostaggi italiani sequestrati in Libia erano due operai piemontesi e un italo-canadese che lavoravano alle riparazioni dell’aeroporto di Ghat per conto di una società di Mondovì, in provincia di Cuneo, la Con.I.Cos. Sono stati liberati alla fine del 2016.
Ghat si trova nel sudovest della Libia, proprio sul confine con l’Algeria, un crocevia importantissimo del Sahel.
Qui si intersecano le piste del contrabbando che partono dal sud dell’Algeria e dal Niger, tratturi di sabbia lungo i quali viaggiano i migranti dell’Africa occidentale e orientale, tutti diretti in Europa.
Ghat è territorio tuareg, l’etnia berbera che neppure Gheddafi è mai riuscito a piegare. Da più di un decennio i tuareg cooperano con al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), il gruppo jihadista che nel 2003 si autofinanziò con i primi rapimenti di stranieri nel Sahel e che per primo ha investito parte dei proventi dei riscatti nel contrabbando dei clandestini africani.
Da sequestratori i jihadisti di Aqimi sono diventati contrabbandieri di clandestini e come loro altri lo hanno fatto perché questo è un business ancora più lucrativo dei sequestri. Secondo l’Europol nel 2015 ha fruttato tra i 3 ed i 6 miliardi di dollari e l’80 per cento dei clandestini era diretto in Europa e transitava per il nord Africa o il Medio Oriente.
Il sud della Libia è un crocevia importantissimo. Dopo la caduta di Gheddafi, i tuareg hanno collaborato con altri gruppi armati libici, alcuni vicini ai Fratelli Musulmani, che hanno partecipato alle trattative per il rilascio degli ostaggi italiani.
I jihadisti sono di casa a Ghat, diventata una sorta di Tortuga del deserto, rifugio sicuro per i mercanti di uomini – bande criminali e jihadiste – che si arricchiscono trafficando in vite umane.
A Ghat i sequestratori si scambiano merce preziosa: gli ostaggi. Da Ghat si negoziano i riscatti. A Ghat i contrabbandieri di migranti imprigionano coloro che a parere loro val la pena sequestrare lungo il cammino verso l’Italia, e aspettano che le famiglie paghino i riscatti per portarli sulle coste libiche e da lì in Italia.
A Ghat è difficile distinguere i contrabbandieri dai trafficanti, dai sequestratori o dai membri dei gruppi armati.
Sono vestiti uguali, portano le stesse armi, guidano gli stessi Suv e si finanziano nello stesso modo. Le fonti principali di reddito sono i riscatti e i guadagni generati dal contrabbando di prodotti e di migranti. Un’industria altamente integrata, questa, dove il denaro, indipendentemente da come viene guadagnato, circola di continuo.
Tutto questo avviene in un paese poco distante da casa nostra, un’ex colonia, una nazione semi-fallita con la quale non abbiamo mai smesso di fare affari.
Loretta Napoleoni è un’economista esperta di terrorismo. Vive da trent’anni tra Londra e gli Stati Uniti, ha insegnato Etica degli Affari alla Judge Business School di Cambridge e conduce seminari in diverse università internazionali.
Nel suo libro “Mercanti di uomini”, edito da Rizzoli, racconta il business sofisticato che ogni giorno fa approdare migliaia di rifugiati sulle coste italiane e quali sono i suoi legami con il traffico di cocaina, i rapimenti di ostaggi occidentali, l’Isis e la ‘ndrangheta.
La sua ricostruzione si avvale di interviste esclusive a negoziatori, membri dei servizi segreti, esperti del contrasto al terrorismo e alla pirateria, ex ostaggi e molti altri. Attraverso queste testimonianze, l’autrice ci porta nel mondo complesso dei mercanti di uomini, spiegando come le vite umane vengono “valutate” in termini economici e come alcune scellerate politiche occidentali alimentino tanto il mercato dei riscatti quanto il traffico dei clandestini.