Cosa rimane delle fabbriche di Torino: ecco come la deindustrializzazione ha portato a speculazione edilizia, abbandono e inquinamento della Dora
L'inchiesta ‘Gli Spettri della Dora’ mostra il lato oscuro di una deindustrializzazione realizzata in tempi veloci, senza il coinvolgimento dei cittadini e con le minime tutele ambientali
Attraversando Torino ci si rende subito conto che le nuove palazzine alle soglie della Circoscrizione 5 hanno poco a che spartire con i portici maestosi del centro o con le stradine di Borgo Dora.
La leggenda vuole – come racconta l’architetto torinese Maurizio Cilli – che un docente del MIT di Boston, venuto a Torino per il congresso mondiale di architettura, abbia esclamato: “Accidenti come tenete bene l’architettura degli anni Cinquanta!”, attraversando in autobus via Livorno dall’aeroporto di Caselle.
Peccato che i palazzi in questione siano l’espressione più recente dell’edilizia torinese. E che le operazioni attuate sulla Spina 3, la parte più vasta dell’area urbana della Spina, siano state sbandierate dal comune come l’esempio lucente di una Torino che cambia in meglio.
I lavori hanno coinvolto una superficie di 1.003.000 metri quadrati, di cui 580.000 si sono trasformate in costruzioni. Uno dei più grandi interventi del Piano regolatore di Torino, con investimenti per 800 milioni di euro.
Muovendoci per questo spazio si incontrano un susseguirsi di strade a doppia percorrenza, rotonde in sequenza e torri di cemento di altezze scoordinate. Per chi non ha vissuto l’evoluzione del quartiere riuscirebbe difficile credere che fino a vent’anni fa la gran parte delle industrie di Torino fossero collocate lì.
Ma come è nata questa landa di cemento a nord della Dora? Perché è stata pensata così e cosa resta della Torino industriale? Il progetto Gli Spettri della Dora risponde a questa domanda: è un’inchiesta-reportage di Lucia Marinelli e Marta Perroni, illustrata da Paolo Figri, sulla storia del quartiere Spina 3, ex cuore industriale di Torino, costruito lungo gli argini della Dora, secondo fiume della città.
Frutto di sei mesi di ricerche, raccolta di documenti, analisi di dati, interviste con esperti e incontri con i cittadini, Gli Spettri della Dora mostra il lato oscuro di una deindustrializzazione realizzata in tempi veloci, senza il coinvolgimento dei cittadini e con le minime tutele ambientali.
Le 300 modifiche del Piano regolatore
Si comincia a parlare del recupero delle aree industriali torinesi nel 1995, quando viene approvato il Piano regolatore generale (Prg). Quattro anni più tardi, il documento viene confermato dal ministero dei Beni e delle attività culturali, dalla regione Piemonte e dal comune di Torino.
I lavori inizieranno alle soglie del nuovo millennio e si concluderanno complessivamente quasi 10 anni più tardi. Abbastanza tempo per ritoccare il documento originale almeno 300 volte, attraverso modifiche volute dalla giunta comunale o da accordi di programma. Ne sono un esempio plateale le modifiche avvenute nel 2001 e nel 2003.
La prima riguarda lo spazio con la chiesa del Santo Volto, progettata dall’architetto Mario Botta. Nel 2001 il comune modifica l’originale Piano regolatore sancendo che l’area sita in via Val della Torre angolo via Borgaro – originariamente prevista per generici “servizi” – sia destinata alla realizzazione di un centro diocesano costituito da un edificio per il culto ed annessi uffici.
Così nel 2003 il comune accorda all’arcivescovo Severino Poletto la costruzione del polo del Santo Volto: chiesa, oratorio e centro congressi interrato da 5000 metri quadrati e l’oratorio. La spesa prevista di 15 milioni raddoppia in corso d’opera.
La variante successiva, quella del 2003, riguarda l’inserimento dei villaggi per la stampa durante le Olimpiadi invernali del 2006 e le modifiche del tracciato ferroviario. Quest’ultima manovra, indotta da un accordo fra le Ferrovie dello Stato, la regione e la città, ha obbligato lavori in più quartieri, nel caso della Spina 3, costringendo a modificare il tracciato di corso Mortara. E portando alla costruzione dell’ennesima rotonda e di un sottopasso.
Ma le modifiche non si sono fermate qui. Sono stati commessi talmente tanti ritocchi che lo stesso Augusto Cagnardi, padre del Piano regolatore con Vittorio Gregotti, ammette che i risultati in Spina 3 non hanno niente a che vedere con il progetto originale.
L’idea di partenza era decisamente positiva. Si pensava di recuperare del suolo industriale, sulla scia virtuosa del parco della Rhur, in Germania: una risoluzione ambiziosa, diventata uno fra gli esempi migliori di deindustrializzazione a livello mondiale. Infatti dove ora sorge il Landschaftpark, a Duisburg, prima c’era un fra i più grandi poli siderurgici europei.
La costruzione del parco è stata realizzata racchiudendo insieme natura e resti industriali in 200 ettari di superficie, con un’operazione realizzata coinvolgendo ed ascoltando le necessità degli abitanti della città. Niente a che vedere con la realizzazione del quartiere torinese, dove di zone verdi e servizi per i cittadini non se ne vedono, a esclusione del Parco Dora, “polmone” malato del quartiere.
Un centro commerciale abitabile e strade a misura di bilico
Secondo lo statistico torinese Federico Boario, consulente dell’Istituto di ricerche economiche e sociali del Piemonte, la presenza dei megastore nel territorio comunale è in sovrannumero.
In tutto, Torino ha 44 supermercati quando potrebbe benissimo arrivare ad averne 32. Del totale, una concentrazione particolare si trova proprio nella Spina. Qui gli ipermercati sono ben quattro, senza contare il resto dei supermercati.
Il problema non è solamente per le aziende di grande distribuzione, che si ritrovano ad avere più concorrenza nella stessa area. Le difficoltà sono più strutturali e coinvolgono in prima linea chi lì vicino ci abita. Ne è un esempio il caso dell’Ipercoop di via Livorno. La struttura, fra le prime a essere conclusa all’inizio del 2003, ha influenzato pesantemente lo sviluppo urbanistico della zona.
Come sottolinea l’architetto torinese Maurizio Cilli, la presenza di numerose rotonde e di viali così enormi nel quartiere non è casuale: è stata pensata per favorire il movimento dei tir destinati al rifornimento del megastore.
E se per chi vive nei pressi di via Livorno fare la spesa non è sicuramente un problema, chi è in cerca di qualsiasi altra cosa incontra maggiori difficoltà. Nonostante le numerose petizioni sollevate dagli abitanti per la costruzione di servizi pubblici in zona, tali strutture tardano ad arrivare.
In origine erano stati promessi un poliambulatorio, una biblioteca, qualche ufficio comunale e delle scuole. A oggi tali strutture non sono ancora arrivate. Attualmente il poliambulatorio più vicino è il LARC in Barriera di Milano, mentre del polo medico in Via Verolengo, proclamato nel 2007, è stato aperto solo uno studio.
A parte un asilo in via Orvieto, non è stato aggiunto niente di quanto promesso agli abitanti. Già nel 2010 il Comitato dei cittadini aveva organizzato una raccolta firme per l’apertura di una biblioteca. Nonostante la partecipazione numerosa, la richiesta è rimasta del tutto inascoltata. In compenso però è stato inaugurato un centro scommesse.
Uno stato di abbandono che non può restare inosservato, tanto più che la Spina 3 è nella circoscrizione 5, la seconda più popolosa di Torino.
Fallimenti famosi, processi e altre scorie
Un articolo pubblicato sulla Stampa a novembre 2006 descrive così la cantierizzazione della Spina: “Qui, al posto della vecchia città che produceva, è nata la Torino del futuro che sposa centri commerciali a villaggi olimpici, multiplex a parchi dell’archeologia industriale. Entro il 2008 la metamorfosi sarà completa e nelle nuove residenze (oggi appena completate o in fase di cantiere) si trasferiranno 70mila nuovi abitanti”.
L’impresa mastodontica ha interessato un’area di oltre 100mila metri quadrati, coinvolgendo 800 milioni di euro di investimenti complessivi. Un simile campo di gioco ha attirato l’attenzione di alcuni fra i più noti costruttori.
Eppure molte compagnie costruttrici che hanno investito sulla rinascita della Spina 3 sono poi andate fallite. Ne sono un esempio la Rosso e la Franco Costruzioni.
La prima, ribattezzata Imato, nel 2012 ha registrato 240 milioni di euro di deficit. Una cifra raggiunta a causa di debiti con banche e fornitori rispetto a un patrimonio di valore ben inferiore. La Imato vantava anche cantieri da completare in varie parti d’Italia e una marea di immobili invenduti. Nonostante un simile quadro, ha salvato il gruppo dal fallimento, un concordato stipulato dopo due anni di fallimento accertato dal tribunale di Torino.
Meno fortunata la Franco Costruzioni che nel febbraio 2014 si vede crollare la Sarfys, società contenitore del patrimonio immobiliare del gruppo. Il crack registrato vale 100 milioni. Come nel caso della ex Rosso, un grande ruolo nella crisi avrebbero i debiti verso banche torinesi e alcuni investimenti sbagliati. Come il Franco Center, un enorme complesso costruito tra corso Rosselli e corso Mediterraneo, verso la Spina 1.
Discorso a parte merita un volto noto delle cronache italiane che è riuscito as infilarsi anche nel progetto della Spina 3: Salvatore Ligresti.
L’ingegnere, condannato nel 2016 per aggiottaggio e responsabile della crisi di Fondiaria Sai, fra il 2005 e il 2013 ha operato in diversi cantieri della Spina, aggiudicandosi appalti con alcuni gruppi facenti riferimento alla Premafin e alla Milano Assicurazioni. Parliamo della Bramante srl e la Penta Domus, una cordata – controllata al 24,6 per cento da Immobiliare Milano – che deteneva il 50 per cento della Cinque Cerchi, un gruppo che insieme a Fintecna ha edificato oltre 110.000 metri quadri accanto al Villaggio Olimpico.
Dei risultati dell’operazione Penta Domus si può sapere sfogliando il Bilancio Unipol-Sai del dicembre 2014: “Il bilancio al 31 dicembre 2013, ultimo disponibile a oggi, chiude con una perdita di circa 5,1 milioni di euro”.
Ma i problemi potrebbero essere più gravi dei vari Ligresti e dei soldi andati in fumo. I costruttori infatti avevano una responsabilità delicata: quella di assicurarsi che le scorie dei vecchi residui industriali venissero smaltite nella maniera corretta. Chi può dirci che questo sia effettivamente avvenuto?
Nella confinante Spina 4, nel 2005 è stato aperto un procedimento giudiziario a carico della Noldem, per uno scavo che doveva esser riempito di terreno pulito ed invece era stato colmato di terreno contaminato.
Ma non sono solamente le bonifiche a preoccupare. Dagli atti dello stesso procedimento giudiziario si lascia intendere che ci sia ragione di chiedersi in quale modo e dove siano stati smaltiti i rifiuti speciali provenienti dalle vecchie industrie. Troppe domande irrisolte che meritano una risposta.
L’odissea delle bonifiche in Spina 3 e la presenza di Cromo Esavalente nella falda a nord del fiume Dora
Il cromo deriva dalla parola greca “chroma” che significa “colore” a causa del gran numero di composti vivacemente colorati. È un metallo duro, lucido, di colore grigio acciaio; può essere facilmente lucidato, fonde con difficoltà ed è molto resistente alla corrosione.
Durante il XIX secolo, fu usato principalmente per preparare vernici e pigmenti vari. Oggi l’uso principale del cromo, soprattutto per le sue proprietà antiruggine, è legato all’industria siderurgica, chimica, alle fonderie e alle fabbriche di laterizi.
Gli stati di ossidazione più comuni del cromo sono +2, +3 e +6, di cui +3 è il più stabile. Gli stati +4 e +5 sono relativamente rari. I composti del cromo +6 (cromo esavalente) sono potenti ossidanti, e gli effetti tossici e cancerogeni del cromo esavalente sono principalmente imputati a questa caratteristica, rendendolo fortemente aggressivo nei confronti dei sistemi biologici.
È un metallo tossico e se non viene utilizzato con tutte le precauzioni del caso, può provocare tumori alle prime vie aeree, allo stomaco e al polmone, ed è attivo anche a concentrazioni molto basse.
Per questo è stato stabilito un livello internazionale di concentrazione nell’ambiente che non dev’essere superato: 5 microgrammi per litro.
Nel 2008, Roberto Topino, medico del lavoro torinese, solleva l’attenzione mediatica della città pubblicando alcuni articoli sul blog di Beppe Grillo. Il medico punta il dito contro le dosi ancora forti di inquinanti presenti nel terreno del quartiere Spina 3, lascito delle fabbriche dismesse, e denuncia la presenza di elevate concentrazioni di cromo esavalente nelle acque della Dora. Di risposta, l’ARPA e il Comune, in conferenza stampa, sostengono che i valori di cromo esavalente risultano molto bassi e confinati solo nella falda.
“Nell’area Vitali, un’ex acciaieria, sotto una vasca di filtrazione di accumulo dei fanghi di cromatura, nel 2002, anno di approvazione del progetto di bonifica, erano stati trovati ben 455 microgrammi /litro di cromo esavalente. L’area è stata messa in sicurezza, sono stati eliminati i fanghi contaminati, è stato fatto un pompaggio e trattamento delle acque, tanto che negli stessi punti di prelievo del 2002, la concentrazione di cromo esavalente va da 0,5 a 30 microgrammi/litro. L’area non è ancora bonificata e i dati si riferiscono alla prima fase di messa in sicurezza. (…) le concentrazioni di cromo e cromo esavalente presenti nella Dora sono ampiamente compatibili con i limiti di legge”, si legge in un comunicato stampa dell’Arpa dell’11 settembre 2008.
Come riportato nel comunicato, le bonifiche approvate nel 2002 erano state attuate attraverso la messa in sicurezza dell’acqua in falda (a 7 metri circa dalla superficie), ossia con un sistema di pompaggio e trattamento delle acque più contaminate abbinato a una riduzione chimica del contaminante con infiltrazioni di solfato ferroso, che abbatte il cromo esavalente. A seguire, tenendo conto della naturale attenuazione controllata, comune e Arpa garantivano un costante monitoraggio dei valori degli inquinanti e vietavano di utilizzare le acque di falda a valle del sito.
I problemi cominciano a sorgere però quando il Comitato Dora Spina 3 chiede di essere informato costantemente sui valori degli inquinanti monitorati. Si legge infatti su “La spina 3 di Torino” di Ezio Boero: “(…) La falda prossima alla superficie e la difficoltà del fiume a drenare gli inquinanti lasciati dalle fabbriche localizzate sulle rive della Dora dovrebbero rendere vieppiù necessario un controllo e un’informativa puntuale sull’inquinamento delle acque sotterranee”.
I dati dal comune e dall’Arpa si fanno attendere e verranno pubblicati solo nel 2011 e si riferiranno a rilevamenti dell’anno precedente.
I risultati delle bonifiche sono stati per lungo tempo disponibili esclusivamente sul sito del Comitato Spina 3, che ha dovuto effettuare nel tempo ben tre accessi agli atti, garantiti dalla legge sulla trasparenza amministrativa (legge 241/90, modificata e integrata dalla Legge 15/2005).
Nel gennaio 2012 il comune prende l’impegno con il Comitato di pubblicare semestralmente i dati delle acque del fiume e di falda, anche in considerazione della persistenza, in alcuni pozzi di rilevazione sotterranea, di valori di metalli pesanti, ed anche, per l’ennesima volta, di cromo esavalente, superiori ai limiti di legge.
Lo stesso comune decide una seconda fase delle bonifiche attraverso l’iniezione in falda freatica di alcune sostanze che dovrebbero affrontare la persistenza di cromo esavalente, e le inizia nell’autunno del 2016. Della seconda iniezione i cittadini però sembrano essere ancora all’oscuro.
Gli ultimi atti
Tra il 2016 e il 2017, il Comitato Dora Spina 3 insiste per ricevere un aggiornamento sui risultati delle analisi nella falda e della Phytoremediation. I dati delle analisi verranno pubblicati sul sito del comune a 2017 iniziato e sono piuttosto allarmanti: nell’acqua di 19 su 20 pozzi di monitoraggio esaminati, il livello di cromo esavalente risulta essere dalle 2 alle 60 volte sopra il limite consentito per legge.
Tenendo presente che l’acqua della falda scorre verso sud nella direzione della Dora e verso est in direzione del Po (che si trova ad una distanza di 4 chilometri), bisogna porre l’attenzione su i livelli di cromo esavalente riscontrati nei pozzi ai margini più esterni del sito, verso sud e verso est. In questo caso quelli denominati P9, P12, PM5, P21, P13, P22, il cui livello di cromo esavalente a settembre 2016 era – in microgrammi per litro (ricordando che la concentrazione per legge non può superare 5μg/L) :
P9 (21,1)
P12 (17,1)
PM5 (10,3)
P21 (19,2)
P13 (54,1)
P22 (21,9)
Non è invece presente il valore di PZE4 che avrebbe dato indicazioni utili essendo uno dei pozzi di monitoraggio posizionati più a est insieme a P13.
Se le concentrazioni di cromo esavalente si rivelassero elevate soltanto a ridosso dei pozzi scavati per la messa in sicurezza (si tratterebbe di quelli evidenziati in rosso nel centro della carta 1) non sarebbero dati preoccupanti.
Il problema si pone quando anche le analisi dei pozzi più esterni risultano essere molto al di sopra (fino a 54 μg/L) dei limiti definiti per legge, come di quelli che abbiamo appena indicato.
* Inchiesta a cura di Marta Perroni e Lucia Marinelli