Storia di una rottamazione
Il percorso della sinistra italiana dai palchi della Leopolda ai gazebo per l'elezione del nuovo segretario
Novembre 2010. Sul palco della Leopolda di Firenze c’è stranamente anche Pippo Civati.
È l’inizio della svolta “rottamatrice” di Matteo Renzi. Entrambi, incarnano la visione innovativa del partito, al passo coi tempi rispetto alle proposte che ormai “sanno di vecchio” dell’establishment del Pd.
Il format della Rottamazione puo’ aprire le danze. Iscritti, simpatizzanti, volontari affollano una sala priva di bandiere di partito ma ricca di riferimenti culturali nuovi. Forse puramente generazionali. Hanno scelto di voltare pagina, hanno deciso che è giunto il momento di sfruttare la crisi politica e istituzionale per cavalcare l’onda del cambiamento. Non si sentono più rappresentati dai capi del partito, tra le cui fila oltretutto ci sono i mandanti non ufficiali della tragica fine dei due governi Prodi e del fallimento del progetto Ulivo. Gli stessi che tre anni più tardi trameranno ancora una volta alle spalle di Prodi contribuendo alla sua mancata elezione a Capo dello Stato.
Matteo Renzi è considerato un problema dall’apparato del partito. Resta il fatto che al governo c’è ancora un certo Silvio Berlusconi.
Un anno più tardi nell’ottobre del 2011 va in scena la Leopolda atto secondo. Renzi decide di fare le cose in grande. Ha deciso di fare sul serio. Sul palco ci sono i dinosauri, riferimento più che esplicito ai vecchi del partito. Bisogna però incominciare a costruire qualcosa che vada oltre al ricambio della leadership, che dia un’ impronta forte e incisiva alla strategia politica del partito. Rafforzamento dell’azione di governo, riduzione del numero dei parlamentari, riforma delle pensioni e abolizione del finanziamento ai partiti tra questi. L’occasione per fare il pieno di voti nella tornata elettorale è troppo allettante e avere una maggioranza forte faciliterebbe l’elezione di un Presidente della Repubblica “fidato”. Napolitano ha fatto sapere di non vedere l’ora della scadenza del suo mandato per dedicarsi alla famiglia.
Questa volta Pippo Civati non c’è. Non era stato invitato prima e non lo è stato in questa occasione e per evitare polemiche è rimasto a casa. Ha deciso di allontanarsi dall’egocentrismo del rottamatore e di mettersi in proprio, costruendo una piattaforma politica diversa e chissà, in un futuro prossimo sfidare Renzi alle primarie per eleggere il segretario. Magari con l’aiuto di un futuro ministro, un tecnico con la passione per la politica come Fabrizio Barca. Sta di fatto che il “Big Bang” alla fine lo fa Monti. Le prove generali delle larghe intese. Il governo nato dalla necessità di salvare il paese dalla crisi irreversibile, il governo di scopo per le riforme strutturali che il paese attende da almeno venti anni, dopo quel pronunciamento referendario che sanciva almeno formalmente la fine della prima repubblica.
Il diktat delle forze politiche che sostengono il governo rallentano il percorso sulle riforme. Il governo Monti a parte il forte “appeal” europeo sembra una nave in balia delle correnti, troppo morbido, fin troppo disposto a cedere alle pressioni di chi lo sostiene. È il segnale che le elezioni sono più vicine. Il sindaco di Firenze decide di giocare d’anticipo, si sente odore di elezioni e la delusione nei confronti del governo è palpabile. La sua discesa in campo “on the road” è cominciata su un camper che gira l’Italia. Tra gli obiettivi quello di riconquistare più consensi possibili, anche i voti di chi “ finora ha sostenuto Berlusconi”.
Non ha paura di finire nel tritacarne del centro sinistra dell’ultimo ventennio o logorato dai suoi compagni di partito che oramai sono i suoi principali avversari.
Sa benissimo che le primarie per diventare il candidato premier sono strade tortuose e anche a voler mantenere la calma si va per perderla nella caciara dei regolamenti. Ma la corsa per diventare il leader del centro sinistra si è trasformata in uno spettacolo, lui “guida” il palco, riempie sale e conquista sempre più endorsement. Gioca di fioretto, una stoccata alla macchina burocratica del partito e una alla commissione interna sul regolamento. Lo slogan “Adesso!” pecca di originalità ma riflette una determinata strategia di attacco. La sconfitta da outsider di partito è un trionfo rinviato, un’occasione per intensificare il suo proselitismo e lanciare la prossima sfida, quella per l’elezione del segretario nazionale.
Il trionfo di “Italia bene comune” alle primarie non ha dato i suoi effetti alle elezioni di febbraio 2013. Un’occasione perduta per costruire l’alternativa. Il fallimento di una linea politica portata avanti molto tempo prima. Una catastrofe politica. Una sconfitta all’insegna di 101 parlamentari a volto coperto che hanno freddato per la terza volta Prodi, questa volta sulla via del Quirinale e decretando con la rielezione di Napolitano l’inizio di nuove larghe intese, questa volta sotto un esecutivo totalmente politico.
Adesso Matteo Renzi è il nuovo segretario del Partito Democratico. Ha ottenuto il 68 per cento di voti dei quasi 3 milioni di italiani che si sono recati a votare domenica 8 dicembre.
Ora sarà interessante capire in che modo la nuova segreteria si rapporterà all’esecutivo in carica. Alzerà sempre di più la posta in palio nella speranza di provocare la caduta del governo oppure giocherà il ruolo di traghettatrice fino alle prossime elezioni?
Di fronte al trionfo di Renzi il governo dovrà dimostrare di saper resistere alla pressione incalzante del neo-segretario che quasi certamente puntellerà sia Letta sia Napolitano sui mancati traguardi delle larghe intese e mettendoli alle strette sulla natura di questo mandato di scopo a tempo determinato. Riforme costituzionali e legge elettorale saranno la bomba ad orologeria sotto gli scranni governativi.
Il tempo appunto. L’unico in grado di rottamare anzitempo il rottamatore e farlo autologorare nel partito che ha tanto voluto dirigere – come molti suoi avversari si auspicano – o al contrario fargli vestire i panni del riformatore e del costruttore del nuovo centro-sinistra.