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“Qui tutto è fermo e dal governo non risponde nessuno”: gli sfollati di Genova parlano a TPI

Immagine di copertina
Un moncone del ponte Morandi

Nel decreto Genova mancano date e cifre. Gli sfollati si sentono abbandonati e attendono ancora di poter tornare nelle case

Via Porro resta ancora una cicatrice aperta nel cuore di Genova. Tutto sembra cristallizzato a cinquanta giorni fa, quando il ponte Morandi si sbriciolava nel Polcevera. A vivere sulla propria pelle la stasi sono soprattutto gli sfollati. Dopo settimane di attesa, giovedì mattina è stato nominato il commissario alla ricostruzione: sarà il sindaco della città, Marco Bucci.

Il decreto annunciato in pompa magna dal governo gialloverde è arrivato dopo oltre quaranta giorni di attesa, ma dentro mancano le risposte alle richieste degli sfollati.

“La situazione è fluida, ma tendenzialmente verte all’immobilismo”, ha detto il presidente del comitato degli sfollati di via Porro, Franco Ravera a TPI. “Qualcosa si muove solo nell’ambito del Comune e infatti stiamo cominciando a programmare i rientri. Cosa che chiediamo dal 15 agosto per permetterci di rientrare in casa a recuperare quanto di più caro abbiamo”.

Aspettano ancora di rientrare nelle loro abitazioni. L’estate è finita e il primo freddo si affaccia anche sul capoluogo ligure. Rientrare in casa diventa ancora più urgente per recuperare un paio di scarpe invernali, una giacca e i ricordi, ancora sigillati in quelle case sotto al ponte. “Forse riusciamo a rientrare la prossima settimana, è interesse anche del sindaco farci rientrare”, dice Ravera.

Quello che preoccupa di più gli sfollati ora è il contenuto del decreto legge Genova, tanto atteso quanto deludente agli occhi di chi da cinquanta giorni aspetta.

“Abbiamo espresso la nostra contrarietà sul decreto”, ha detto Ravera. “Quando è venuto Matteo Salvini, come comitato, ho espresso un giudizio molto negativo: innanzitutto perché non è trattato il tema della ricostruzione, e poi perché non sono indicate né date né importi”.

“Noi siamo l’effetto collaterale della ricostruzione del ponte”, continua Ravera. “Si parla della ricostruzione, ma mai degli sfollati. La parte degli indennizzi è fortemente contenuta. Salvini ci ha promesso mari e monti, come tutti i politici, e noi abbiamo risposto che aspettiamo”.

“Vediamo se ha la capacità di modificare in commissione parlamentare questo decreto, come ha dichiarato”. Nel frattempo gli sfollati e i genovesi si stanno muovendo chiedendo ai parlamentari liguri e non di impegnarsi, di farsi parte attiva e modificare il decreto.

Non solo nella parte che riguarda gli sfollati, ma anche quella che riguarda l’intero contesto genovese: “Oggi ci sono delle sottostime economiche rispetto al problema di Genova. Noi siamo sfollati, ma siamo anche genovesi. Siamo la cicatrice pulsante, ma c’è un’infezione che si sta propagando. Sicuramente in Val Polcevera e nel Levante e, qualora non dovesse venire arginata, potrebbe creare dei grossi problemi”.

Il governo se in un primo momento si era mostrato particolarmente vicino alla causa di Genova e degli sfollati del ponte Morandi, oggi sembra latitare: “Aperture di credito non ne faccio, neanche a Conte, che è venuto a Genova sventolando dei fogli e promettendo che il decreto sarebbe stato approvato, cosa che non è accaduta. Toninelli è venuto a Genova, e l’abbiamo ringraziato perché ha anteposto noi al Salone nautico, ma quando gli abbiamo illustrato tutti i problemi, ci ha detto che tutte le risposte sarebbero state contenute nel decreto: anche questo non è stato vero”.

Ancora nessuna risposta, dunque. “Come ho detto anche a Salvini, la prova dell’impegno non si ha venendo qua e facendo promesse, ma modificando il decreto. Allora sì che uno può applaudire e farsi selfie. Tutti i politici sono venuti a dichiarare e a promettere, ma di quelli di governo per adesso due hanno toppato – Conte e Toninelli – il terzo ha fatto delle promesse perfettamente in sintonia con le nostre esigenze, ma aspettiamo di vederle mantenute. Quindi oggi nessuna aprtura di credito”.

Tempi certi e importi chiari. Questo hanno chiesto gli sfollati ai politici che sono arrivati a Genova, ma oggi la città vive nell’immobilismo totale, mentre gli sfollati si preparano a scendere in strada e a farsi sentire ancora. Due le manifestazioni nei prossimi giorni.

Nodo dolente è quello di Autostrade. “Il decreto dichiara che Autostrade non c’entra niente. Autostrade, in base all’articolo 3 della convenzione della concessione, avrebbe l’obbligo di intervenire e riparare. Ora, però, viene è messa da parte”.

E la vicenda si fa ancora più confusa, perché “il commissario avrà l’incarico di individuare il soggetto – che comunque non deve aver avuto rapporti con Autostrade – che dovrebbe iniziare l’opera con i soldi di Autostrade”, spiega ancora Ravera.

Ma Autostrade ha già annunciato che farà ricorso. “In quel caso, lo Stato accantonerebbe 30 milioni all’anno per 12 anni”. Non sarebbe di certo questa la soluzione, però: secondo un calcolo fatto proprio dagli sfollati, infatti, dovrebbero essere sborsati circa 200mila euro per casa, per un totale di 60 milioni.

Oggi, però, quel salvadanaio non c’è e al massimo ci sarebbero quei trenta milioni accantonati ogni anno. Ma, spiega ancora Ravera, “Autostrade su Genova ha preso i migliori avvocati e si prepara alla guerra”.

Intanto è stato avviato un percorso con la Regione Liguria per la questione indennizzi. Si parla dell’8 dicembre del 2018 come data in cui si dovrebbe essere nella condizione di prendere l’indennizzo: “Ma da chi? Oggi non si sa ancora”, risponde Ravera.

Ma le incoerenze non finiscono qui. Ancora nel decreto si legge che chi ha la casa sotto al ponte non dovrà pagare le spese della successione, ma quelle case verranno demolite e allora “di che casa stiamo parlando?”, si domanda Ravera. “Ci sono delle contraddizioni che ci lasciano fortemente perplessi”.

Vogliono solo voltare pagina, gli sfollati di via Porro e per questo è necessario conoscere i tempi: “A noi non interessa chi costruirà il ponte, ma solo che si definiscano dei tempi certi”.

Dopo cinquanta giorni, Franco Ravera entrerà finalmente in una nuova casa. “Grosso modo l’ho arredata e domani entreremo finalmente, ma è una casa temporanea”.

Non ha scelto la casa proposta dal comune, ma l’autonoma collocazione. “Mi sono trovato una casa perché il governo nel primo decreto ha stanziato le cifre che mi permettono una autonoma collocazione”. La sua è una storia come quella di tanti altri sfollati, che hanno declinato le case offerte dal Comune per scegliere l’incentivo per affittare una casa in autonomia.

Si tratta, però, di case “a tempo”. Solo per dodici mesi, infatti, gli sfollati potranno usufruire di questi incentivi. “Mi sono già giocato due mesi. Ho altri dieci mesi di affitto pagato e poi sono senza una casa, mentre ne ho un’altra ancora in piedi con tutta la roba dentro che verrà buttata giù”.

Circa quattro quinti degli sfollati ha scelto la collocazione autonoma. Questo perché la maggior parte delle case comunali deve essere ristrutturata per essere abitata. “Il minimo era la tinteggiatura, il massimo era bonificare le infiltrazioni e quant’altro”, spiega il presidente del comitato.

Le case, inoltre, sono tutte spoglie, vuote. Per quanto riguarda l’arredamento, gli sfollati stanno vivendo con una cifra – che va dagli 8 ai 10mila euro a nucleo familiare – data da Autostrade a fine agosto, quando c’era la prospettiva di rientrare nelle case a settembre.

“Quando abbiamo chiesto ad Autostrade una seconda tranche di fondi, ci siamo sentiti rispondere che avrebbero valutato loro i nostri bisogni e questo ci ha fatto molto arrabbiare”, ha detto ancora Ravera.

“Autostrade è ritornata ad essere quello che era prima del 14 agosto: un’azienda che guarda solo al proprio portafoglio. Fino ad oggi io ricordo solo di un atteggiamento di facciata, come in quella conferenza stampa in cui l’amministratore delegato si diceva addolorato, dispiaciuto per quanto successo. Ora i soldi della prima tranche sono già stati utilizzati e stiamo cominciando a usare i nostri risparmi e della seconda tranche non si parla”.

I quattrocento euro disposti per l’autonoma sistemazione, intanto, non sono sufficienti per vivere in una città come Genova. La cifra è onnicomprensiva e oltre all’affitto in sé, gli sfollati sono chiamati a pagare anche le utenze. “Questa è una segnalazione che mi arriva da tantissimi sfollati”, continua Ravera.

Come comitato, col Comune si sta ragionando per fare in modo che i fondi concessi al Comune a favore degli sfollati vengano accantonati e utilizzati per pagare almeno una parte delle mensilità delle utenze.

Se la maggior parte degli sfollati ha scelto l’autonoma collocazione è anche perché le case messe a disposizione dal comune sono collocate da tutt’altra parte della città e soprattutto necessitano di ristrutturazione.

Quarto e San Biagio sono i quartieri in cui si trovano le case comunali: il primo si trova a Levante – e chi ha scelto quelle case ancora sta aspettando le chiavi per poter entrare – e l’altro paga la sofferenza di essere in alta Val Polcevera, dopo il crollo del ponte completamente isolata.

Anche il problema della viabilità strazia la città dopo il crollo del ponte. “Per fare due chilometri, in alcuni momenti, ci mettiamo un’ora e mezza”, continua Ravera, che evidenzia come la ricostruzione del ponte e la riapertura di quelle quattro strade che passavano sotto al viadotto siano di assoluta necessità per la viabilità della città intera.

Intanto Genova è per metà anestetizzata, inconsapevole fino in fondo di quello che l’altra metà vive da cinquanta giorni: “Genova si stende su 40 chilometri, noi abbiamo più o meno metà città che percepisce ancora poco il problema che sta vivendo l’altra metà. Quando la percepirà vorrà dire che sarà iniziata una erosione progressiva e allora le cose peggioreranno ancora”.

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