Perché la nuova sentenza della Cassazione sul divorzio è femminista
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La decisione dei giudici sull'assegno di mantenimento riconosce la vera parità tra i generi, e impedisce di vedere il matrimonio come un'assicurazione per il futuro
Non ci saranno più assegni mensili a sei zeri alla Veronica Lario, almeno per i prossimi divorzi. La sentenza della Cassazione di mercoledì 10 maggio ha raggiunto l’obiettivo – esplicitamente menzionato dai giudici – di eliminare il matrimonio come “sistemazione a vita”: un legame che rischiava di essere eterno solo per il portafogli.
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La Corte suprema ha rimosso il “tenore di vita matrimoniale” dai parametri per l’assegno di mantenimento, lasciando che a determinare il “se” e il “quanto” l’ex partner sia tenuto a versare al coniuge sia l’indipendenza o autosufficienza economica del coniuge che lo richiede.
È vero, come ha sottolineato l’avvocato Giulia Bongiorno nella sua intervista al Corriere della Sera, che se si tratta di una donna che ha destinato tempo e risorse alla famiglia, questa ha diritto a un riconoscimento concreto per il suo impegno.
Ma anche se potrebbe sembrare il contrario, la decisione non danneggia le donne o gli uomini che non lavorano – magari per una scelta di vita familiare condivisa con il partner anni e anni prima e che va assolutamente tutelata. Dal momento che loro non sarebbero autosufficienti, avrebbero comunque diritto a ricevere un sostentamento. A quanto questo ammonti in concreto saranno poi i giudici a definirlo caso per caso.
A beneficiare della nuova interpretazione della legge saranno tre soggetti.
Prima di tutto il matrimonio stesso. Un’unione che, come sottolineano i giudici, è un “atto di libertà e di autoresponsabilità” e in quanto tale non può essere visto come un mezzo per sistemarsi. Con questa sentenza gli viene restituita la dignità che merita, quella di una scelta incondizionata.
I secondi a beneficiarne – per ovvie ragioni – sono le persone che pagano gli alimenti all’ex compagno, siano essi donne o uomini. Saranno ancora più liberi, se lo desiderano, di costruirsi una vita con l’eventuale nuovo partner. Secondo i dati molti ex coniugi, specialmente se genitori, dopo il divorzio vivono in povertà e hanno bisogno d’assistenza e in Italia si moltiplicano le strutture per ospitare padri separati in difficoltà.
Ma soprattutto, questa sentenza riconosce la vera parità tra i generi, impedendo a chiunque di considerare il matrimonio come un’assicurazione per il proprio futuro e spingendo le donne a guadagnarsi la propria autonomia e indipendenza economica.
È un provvedimento che ha il merito di riconoscere le donne come soggetti indipendenti. Con il loro provvedimento è come se i giudici dicessero: “Vai, puoi farcela da sola”. E questo, prima che un’innovazione giuridica è un cambiamento culturale, uno dei tanti che noi donne andiamo cercando e che dovrebbero renderci più consapevoli di noi stesse e delle nostre potenzialità.
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