“Mancano barelle e personale: gli ospedali di Roma sono a rischio collasso”: la denuncia di un medico del 118 a TPI
A parlare è Francesca Perri, medico del 118 e sindacalista
“Dovrebbe essere il fiore all’occhiello della sanità e invece Roma rischia il collasso”. A dirlo è la dottoressa Francesca Perri, medico di Ares 118 e sindacalista ANAAO – Associazione nazionale medici dirigenti del sistema sanitario nazionale. Il 2 gennaio 2018, la dottoressa Perri ha scritto un post su Facebook ripreso dalla pagina di Potere al Popolo in cui denunciava la situazione insostenibile all’ospedale San Filippo Neri. Situazione, quella, riscontrabile in tutti i nosocomi romani.
“Non ci sono barelle ai pronto soccorso sufficienti a coprire il fabbisogno di salute e di posti letto per questa città”, scriveva Perri che in un’intervista rilasciata a TPI ribadisce con forza la denuncia.
“Hanno ridotto i posti letto a 3,7 per mille abitanti, senza tener conto che la popolazione italiana è tra le più longeve del mondo. In più soprattutto i pazienti più anziani sono affetti da pluripatologie e necessitano di ricovero in ambiente specialistico, ma i posti letto continuano a diminuire”. In seguito ai pesanti tagli alla sanità, spiega Perri, interi reparti sono stati smantellati.
Il problema è che i tagli sono stati operati, ma di contro non è stata offerta alcuna alternativa valida. “Bisogna investire sul territorio per controbilanciare la visione dei tagli, invece è stato fatto molto poco”, continua Perri.
Ai tagli ai posti letto si accompagnano quelli al personale: “Si assume poco e nella regione Lazio siamo al blocco del turn over dal 2007. Ancora non si sblocca la situazione: si parlava del 1 gennaio del 2019, ma a quanto pare non è stato così”.
La colpa, continua ferma la dottoressa del 118, è della politica: “Non capiscono nulla di sanità non essendo medici e allo stesso tempo si sono avvalsi di persone che non hanno il polso della situazione. Non hanno la pratica clinica: sanno ben parlare, ma non hanno mai avuto contatto con i pazienti”.
L’errore più grande è stato fatto con l’aziendalizzazione: “La salute non è una merce. Non si può parlare di azienda quando si parla di sanità. L’azienda è legata al profitto, la salute no, non è un profitto, è un bene che va tutelato. Non si può parlare di salute in termini economici”, denuncia Perri.
Un’altra anomalia evidenziata dalla dottoressa è quella della presenza di volontari, che in alcune regioni si sostituiscono di fatto ai medici: in ambulanza salgono tanti volontari e i medici scarseggiano. “Sono membro del direttivo nazionale del Sis 118 – Società italiana scientifica del 118 Italia: facciamo convegni e ci confrontiamo, ci formiamo e formiamo giovani per farli innamorare di questo mestiere. In altre regioni – in primis la Toscana – vengono messi i volontari, sminuendo così la professione”.
“Non ci può essere la stessa professionalità tra un medico e un volontario: il volontario può partecipare, sì, ma nell’équipe. La gente spesso non sa se sull’ambulanza arriva il medico, l’infermiere o il volontario”, spiega Perri, che parla del suo lavoro come di qualcosa di gratificante, ma faticoso, che non tutti sono disposti a fare: “Richiede una certa preparazione e io mi sento anche svilita in questo”, continua.
Quotidianamente la dottoressa Perri come tutti i suoi colleghi è costretta a lunghe attese nelle sale d’aspetto del pronto soccorso. Le barelle in ospedale sono bloccate: perché non ce ne sono altre per poter permettere alle ambulanze di lasciare il paziente e tornare in strada, ma anche perché gli ospedali non sono in grado di garantire locali idonei ad accoglierne altre. Ma a mancare è soprattutto il personale.
“Spesso siamo costretti ad aspettare ore nei corridoi. Ieri mi è andata bene: ho aspettato solo un’ora e venti”, spiega ancora la dottoressa. Un’attesa che va a scapito degli altri pazienti che, fuori, non possono ricevere il soccorso in tempi celeri. “A volte l’azienda ci utilizza come auto medica: quando mi chiedono se sono ancora bloccata, mi mandano senza barella, affiancandomi un’altra macchina in caso di ricovero, per permettermi così almeno di visitare il paziente”.
“Quando l’azienda vede che sei bloccato e c’è un’emergenza chiama le ambulanze private che vanno a sopperire la mancanza delle nostre sul territorio”. Si usato escamotage a danno dei cittadini, sì, ma anche dei lavoratori, che sono costretti ad arrangiarsi.
Per ogni dieci medici o operatori che vanno in pensione viene assunto un solo professionista: “Nel 2007 eravamo 3.492 unità, tra medici, autisti, barellieri, infermieri eccetera. Oggi siamo meno di 1.700. Infatti le nostre ambulanze (quelle di Ares 118) sono un centinaio e un altro centinaio sono quelle private”, spiega la dottoressa.
Le soluzioni esistono e sono tutte in mano alla politica. Innanzitutto bisognerebbe aumentare il fondo sanitario nazionale: “Noi come ANAAO lo diciamo da sempre: bisogna investire nella sanità per fare in modo che si possa assumere il personale adeguato e si possa riconvertire quello che è riconvertibile”. Alcuni piccoli ospedali dismessi possono essere utilizzati per garantire un minimo di assistenza ai pazienti, ad esempio.
Il territorio vastissimo di Roma pretende che ci sia una riorganizzazione dei presidi sanitari. “Le case della salute potrebbero essere una valida alternativa”, spiega ancora Perri: “Ma devono essere funzionali. L’unico esempio concreto è quello del Regina Margherita, che appunto è un ex ospedale”. Parallelamente, spiega ancora la dottoressa, bisognerebbe avviare una cultura sanitaria seria, spiegare ai cittadini che “non possono pensare di trovare qualsiasi soluzione in pronto soccorso”.
Bisogna agire anche sulla prevenzione, di cui nessuno si occupa in Italia: “Hanno addirittura tolto il medico scolastico, che era utile per un primo rapporto con i ragazzi, dando loro delle linee guida in tanti ambiti, dall’alimentazione a tutto il resto”, spiega ancora Perri.
“Io sono per una sanità pubblica, il problema è che è stato privatizzato molto. E dietro questo c’è anche la volontà politica”, conclude. Non è ancora al collasso la situazione degli ospedali su Roma, ma il rischio è alto: “Le condizioni sono preoccupanti e si trascinano da anni. Potremo reggere ancora per un po’, ma non per molto”.