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La famiglia del piccolo Di Matteo, sciolto nell’acido dalla mafia, sarà risarcita con 2,2 milioni di euro

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Il tribunale civile di Palermo ha stabilito un risarcimento di 2,2 milioni di euro per la famiglia del piccolo Giuseppe Di Matteo, il 13enne sequestrato, ucciso e sciolto nell’acido dai boss di Cosa Nostra nel 1996.

La mamma del ragazzino, Franca Castellese, e il fratello Nicola avevano già ricevuto 400mila euro di provvisionale dopo il processo penale, denaro che sarà sottratto ai 2,2 milioni ora stabiliti dal giudice in seguito al procedimento civile che si è aperto nel 2015.

A pagare dovrebbero essere i cinque mafiosi Giuseppe Graviano, di Benedetto Capizzi, Cristoforo Cannella, Francesco Giuliano e Luigi Giacalone, tutti già condannati per il rapimento e l’omicidio di Di Matteo. Insieme a loro dovrà pagare anche il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza.

Tuttavia, dal momento che i loro patrimoni sequestrati, sarà il fondo dello Stato per le vittime di mafia a pagare la somma.

“Ciò che è stata lesa è la dignità della persona, il diritto del minore ad un ambiente sano, ad una famiglia, ad uno sviluppo armonioso, in linea con le inclinazioni personali, ad un’istruzione. Beni ed interessi di primario rilievo costituzionale che, pertanto, trovano diretta tutela, anche risarcitoria”, scrive nelle motivazioni il giudice Paolo Criscuoli, secondo quanto riporta il Giornale di Sicilia.

“Le condizioni del rapimento hanno di fatto del tutto soppresso i diritti del minore; massimo quindi il grado di lesione”, prosegue. “Ancora prima dell’omicidio il Di Matteo, tredicenne, è stato privato della libertà personale per oltre due anni. Tale circostanza, in relazione alle inumane e degradanti condizioni di prigionia, tanto più in considerazione dell’età del soggetto rapito, rendono di primario rilievo il pregiudizio patito dal Di Matteo”.

Il rapimento e l’uccisione di Giuseppe Di Matteo

Era il 23 novembre del 1993 quando Giuseppe Di Matteo, il figlio tredicenne del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, fu rapito in un maneggio da un gruppo di appartenenti a Cosa Nostra nella speranza di indurre l’uomo a ritirare le accuse che stava muovendo contro alcuni mafiosi.

L’uccisione del ragazzo, avvenuta l’11 gennaio del 1996, ebbe molta risonanza sulla cronaca nazionale perché, dopo averlo strangolato, i suoi aguzzini sciolsero il corpo del piccolo Di Matteo nell’acido. Per questa ragione i suoi resti non furono mai ritrovati.

Giuseppe Di Matteo amava andare a cavallo e i rapitori – un gruppo di mafiosi che agivano su ordine del boss di San Giuseppe Jato, Giovanni Brusca, allora latitante – si recarono nel pomeriggio del 23 novembre nel maneggio di Altofonte travestiti da agenti della Dia.

Il 1 dicembre 1993 la famiglia Di Matteo ricevette alcune foto del bambino con in mano un quotidiano del 29 novembre e un biglietto con la richiesta di far tacere il padre. All’epoca, Santino Di Matteo, ex membro del clan di Altofonte (Palermo), vicino ai corleonesi, stava fornendo indicazioni agli inquirenti sui responsabili della strage di Capaci e dell’uccisione dell’esattore di Salemi Ignazio Salvo.

Dopo un iniziale cedimento il padre del ragazzo, sebbene preoccupato per la sorte del figlio, decise di proseguire la collaborazione con la giustizia.

Durante il periodo di oltre due anni in cui fu prigioniero, Giuseppe Di Matteo fu trasportato da una provincia all’altra della Sicilia e passò per le mani di decine di mafiosi.

L’ordine di uccidere il ragazzo, ormai fortemente indebolito dalla lunga prigionia, fu dato da Giovanni Brusca quando seppe di essere stato condannato dalla Corte d’Assise di Palermo per l’omicidio Salvo, anche a causa delle rivelazioni di Santino Di Matteo.

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