Fare uscire Riina di prigione sarebbe come uccidere di nuovo Falcone e Borsellino
Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso il 19 luglio 1992, spiega a TPI perché il boss di Cosa Nostra debba morire in carcere
“È vero, gli esseri umani hanno tutti diritto a una morte dignitosa. E nonostante Totò Riina sia più una bestia sanguinaria – con tutto il rispetto per le bestie – che un essere umano, anche lui ha diritto alle cure. Ma può averle in carcere”.
Così Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, il magistrato ucciso da Cosa Nostra nel 1992, commenta a TPI la sentenza della Cassazione che ha annullato il provvedimento con cui il tribunale di sorveglianza di Bologna respingeva la richiesta degli avvocati di Riina per il differimento della pena o la detenzione domiciliare.
Totò Riina si trova da 24 anni in carcere dove sta scontando la condanna a numerosi ergastoli. Il boss mafioso ha 86 anni ed è in gravi condizioni di salute. Per questo mesi fa il suo avvocato ha presentato un’istanza al tribunale di sorveglianza di Bologna.
Una sentenza della Corte di Cassazione pubblicata lunedì 5 giugno ha annullato il provvedimento, chiedendo al tribunale di Bologna di riesaminare l’eventuale compatibilità delle condizioni di salute di Riina con il carcere ed emanare un nuovo provvedimento.
Ma intanto proseguono le critiche verso il provvedimento, che cita il diritto di Riina a “morire dignitosamente” come previsto dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Anche alcuni parenti delle vittime di mafia si sono espressi in senso contrario a questa possibilità.
Cosa ha pensato quando ha visto la notizia della sentenza della Cassazione?
Quando ho sentito la notizia era ancora abbastanza generica. I titoli dei giornali erano: “Riina può essere scarcerato”, “Ha diritto di morire a casa sua”. Erano titoli distorti della notizia.
Ma la Cassazione non giudica nel merito, giudica nella forma. Ha semplicemente rigettato la sentenza del tribunale di sorveglianza di Bologna dicendo che non è stato sufficientemente motivato il rigetto della richiesta degli avvocati di Totò Riina, che era in effetti quella di ottenere gli arresti domiciliari o il differimento della pena.
Il tribunale di Bologna l’ha respinta e adesso la Cassazione non fa altro che rinviare allo stesso tribunale affinché venga motivata diversamente. L’ordinanza è stata motivata solo rilevando la pericolosità di Riina, invece ci sono le condizioni di salute che devono essere prese in considerazione.
Esiste un “diritto alla morte dignitosa” anche per Totò Riina?
È vero che Riina ha diritto a una morte dignitosa, accolgo quello che ha detto la Cassazione, però questo gli può essere assicurato in carcere dove lui riceve tutte le cure di cui ha bisogno.
D’altra parte dare gli arresti domiciliari o il differimento della pena a una persona che, come lui, è ancora il capo riconosciuto della mafia ed è in grado – come risulta dalle intercettazioni nel carcere di Opera – di godere delle stragi che ha commesso e di minacciarne di nuove dal carcere. La sua pericolosità è estrema, quindi sarebbe veramente assurdo un differimento della pena o altro.
Se fosse così sarebbe una resa completa dello Stato, sarebbe come ammazzare una seconda volta Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Ma io ho fiducia nella giustizia e sono sicuro che non è così. Non è stato fatto altro che chiedere al tribunale di Bologna di riscrivere le motivazioni della sentenza, perché qualsiasi altra ipotesi sarebbe assurda.
È vero, gli esseri umani hanno tutti diritto a una morte dignitosa. E nonostante Totò Riina sia più una bestia sanguinaria – con tutto il rispetto per le bestie – che un essere umano, anche lui ha diritto alle cure di cui ha bisogno.
Altrimenti non si capisce la differenza di trattamento con Provenzano, che era in condizioni terminali. Non mi risulta che Riina sia nelle stesse condizioni, partecipa ancora a quasi tutte le udienze del processo trattativa. È in condizione di ascoltare il processo e di lanciare le minacce che abbiamo sentito nelle intercettazioni. Non si capisce allora perché Provenzano sia morto in galera, come anche Liggio, Greco e tutti i capi riconosciuti della mafia.
Non ha solo un ergastolo, ma credo 16 o 17. E ricordo che la sua pena è ostativa, che vuol dire che non può godere dei privilegi di cui godono altri detenuti. È soggetto a particolari restrizioni data la sua pericolosità.
Secondo lei quindi il ruolo di capo di Cosa Nostra è ancora di Riina?
Sì. Prima ancora della morte di Provenzano sono stati intercettati due boss mafiosi che dicevano proprio che fino a quando non fossero morti questi due non si poteva fare nulla, non si poteva cambiare nulla. È ancora lui che comanda dal carcere.
È uno che – dobbiamo ricordarlo – ha dichiarato guerra allo stato e ha compiuto non poche stragi. Non solo quelle di via D’Amelio e di Capaci, ma anche dei Georgofili a Firenze e di via Palestro a Milano. Questa persona è di una pericolosità estrema, e anche dal carcere lancia minacce di morte.
Altrimenti come si giustificano le misure di sicurezza (giustissime, estreme) a cui viene sottoposto Nino Di Matteo? È proprio per le minacce dal carcere lanciate da Totò Riina. Quindi vuol dire che è ancora lui che comanda in Cosa Nostra.
Ha meno libertà di movimento – questo è vero – ed è anche il minimo che si può chiedere: che viva e che muoia in carcere com’è giusto che succeda per criminali come lui e com’è successo per gli altri capi di Cosa Nostra.
Quindi chi parla del capo di Cosa Nostra riferendosi a Matteo Messina Denaro sbaglia?
Matteo Messina Denaro è il reggente di Cosa Nostra, grazie all’intervento di Riina. Ma Riina dal carcere si è permesso di criticarlo perché pensa troppo alle pale eoliche, pensa troppo ai suoi affari. E chi all’interno della mafia potrebbe avere l’ardire di criticare Matteo Messina Denaro se non quello che veramente è ancora oggi il capo di Cosa Nostra, Totò Riina?
Il potere e il carisma di Totò Riina all’interno della società criminale potrà finire solo con la sua morte. Lui ha completamente sovvertito tutte le regole all’interno della mafia, seminando il terrore nell’organizzazione criminale, con tutte le persone che gli si opponevano e che lui ha fatto strangolare e sciogliere nell’acido. E continua dal carcere ad avere questo potere.
Il suo potere tra l’altro dipende anche della capacità di ricatto che ha probabilmente verso pezzi deviati dello Stato italiano, perché purtroppo quando fu catturato fu permesso a qualcuno di prendere la sua cassaforte e portarla via. Che poi oggi la cassaforte è Riina stesso, se mai decidesse di collaborare. Cosa che non avverrà mai visto il personaggio.
Cosa direbbe suo fratello Paolo su questa vicenda?
Guardi, mio fratello Paolo lo fanno parlare in troppi. Troppe persone dicono: “Paolo direbbe…”, “Paolo farebbe…”. Hanno detto anche che Paolo si sarebbe rivoltato nella tomba per certe cose che ho fatto in passato, per esempio quando ho manifestato il mio sostegno morale, come uomo, a Massimo Ciancimino quando fece la scelta di collaborare con la giustizia. Quindi non vorrei che qualcuno mi accusasse di far parlare Paolo, come io accuso gli altri.
Credo che Paolo soprattutto avrebbe detto quello che disse poco prima di morire: “Quando mi uccideranno sarà stata la mafia a uccidermi, ma non sarà stata la mafia ad aver voluto la mia morte”.
Se mai qualcuno decidesse di far uscire Riina dal carcere allora proprio pensando alle sue parole vorrebbe dire che qualcuno sta pagando il prezzo a questo criminale di essere stato la mano dello Stato deviato.