Le conseguenze della Brexit per l’Italia
Carlo Altomonte analizza le implicazioni economiche e politiche dell'uscita del Regno Unito dall'Ue in relazione all'Italia
Le implicazioni della Brexit per l’Italia vanno valutate sia dal punto di vista economico che, in maniera più rilevante per il nostro paese, anche politico.
Il punto di partenza per ogni ragionamento è la considerazione che il voto negativo al referendum, di tipo consultivo, non avvia automaticamente il processo di uscita del Regno Unito dall’Unione europea, ma piuttosto un negoziato per la ridefinizione dei rapporti giuridici tra le parti. Saranno infatti i dettagli di questo negoziato, ed il punto di arrivo di un nuovo accordo tra Regno Unito e Unione europea, a definire le implicazioni di medio periodo di questo evento, anche per il nostro paese.
Il Regno Unito ora avvierà formalmente il processo di uscita dall’Ue ai sensi dell’art.50 del TUE chiedendo di negoziare un accordo di associazione con l’Unione europea ai sensi dell’art. 310 del TFUE, partecipando dunque, con i propri distinguo, ad alcune delle politiche del mercato unico europeo (in particolare la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone). Se tale accordo si delineerà come un accordo di associazione ‘stretto’, come ad esempio quello che oggi hanno paesi come la Norvegia e la Svizzera con ampie parti del Mercato Unico europeo condivise (la Norvegia contribuisce addirittura al bilancio comunitario), le conseguenze economiche di medio periodo sia per l’Europa, e con essa l’Italia, che per il Regno Unito potrebbero essere abbastanza contenute.
Nel breve periodo, la rinegoziazione dei rapporti avrebbe invece sicuramente conseguenze negative principalmente per il Regno Unito. Al di là di una svalutazione della sterlina stimabile in 10-15 punti, è possibile immaginare che il costo della riorganizzazione regolamentare, commerciale e giuridica del proprio sistema economico, con la conseguente incertezza in termini di decisioni di consumo e investimento, possa generare nel Regno Unito una riduzione di 3-5 punti di Pil nei prossimi 12-18 mesi.
Questo impatto potrebbe avere ripercussioni sull’Italia, in quanto il Regno Unito è il quarto nostro mercato di sbocco dell’export, anche se il volume complessivo delle transazioni non supera il 5 per cento del totale dell’export italiano. Inoltre, poiché il Regno Unito non è necessariamente il mercato di sbocco finale delle nostre esportazioni (spesso esportiamo attraverso il paese anche beni che sono consumati negli Stati Uniti), è possibile che in caso di Brexit il commercio italiano si possa rapidamente riorientare, a costi contenuti, verso altri paesi che facciano da ‘ponte’ verso gli USA (Irlanda e Germania sono i principali candidati).
Di contro l’Italia potrebbe beneficiare di opportunità di investimento che lasceranno il Regno Unito nella fase di transizione che seguirà al Brexit per riorientarsi sul mercato continentale. Questo a condizione che il nostro paese sia in grado di offrire condizioni di stabilità e di certezza giuridica adeguate. A questo riguardo l’esperienza di grandi imprese multinazionali che hanno recentemente annunciato nuovi investimenti e posti di lavoro nel nostro paese (Apple e CISCO tra tutte) rappresenta un precedente interessante, in quanto le stesse hanno approfittato di un sistema di incentivi oggi in vigore che garantisce loro un quadro giuridico e fiscale di stabilità su un periodo pluriennale.
Al di là degli effetti economici, tutto sommato limitati per l’Italia, più delicate risultano invece le implicazioni politiche. Nel breve periodo, il rischio evidente è il voto positivo al referendum seguito da una formale richiesta del Governo britannico all’uscita dall’Unione Europea (con o senza accordo di associazione) crei un effetto di emulazione per cui altri partiti euroscettici in Europa avochino nelle rispettive campagne elettorali nazionali richieste simili. Questo porterebbe come conseguenza immediata un rischio di instabilità politica interna, di immediato riflesso in Italia alla luce dell’importante passaggio politico con il referendum sulle riforme costituzionali in ottobre.
Nel medio periodo, proprio al fine di minimizzare i rischi di instabilità politica interna, i grandi paesi europei potrebbero avere un incentivo a rendere complicata e difficile la vita del Regno Unito: massimizzarne il danno economico equivarrebbe infatti a mostrare al proprio elettorato i rischi impliciti nell’euroscetticismo, e dunque consentirebbe ai governi in carica di fare propaganda a favore della preservazione dello status quo.
Tuttavia, mettere alle corde un’importante potenza nucleare, membro chiave della NATO e tuttora membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU evidentemente non andrebbe a generare nel medio periodo un quadro di politica estera rassicurante per il nostro Paese.
— L’articolo è stato pubblicato da ISPI con il titolo “Brexit: quali conseguenze per l’Italia?” e ripubblicato in accordo con l’Istituto su TPI
*Carlo Altomonte, è Associate Research Fellow di Ispi e docente all’Università Bocconi