Radio Radicale rischia di chiudere sotto i tagli del governo Lega e M5s
L'allarme del Cdr della storica radio dell'associazione politica Lista Marco Pannella, aperta dal 1976
Radio Radicale rischia di chiudere. L’allarme di Roberto Saviano segue a ruota quello del Cdr dell’emittente aperta nel 1976 e che fa della “frequenza” fondata da Marco Pannella la prima radio italiana a occuparsi esclusivamente di politica.
La Commissione Bilancio della Camera ha infatti approvato un emendamento alla manovra economica che prevede sì la proroga di un anno della convenzione tra Mise e Radio Radicale per la trasmissione delle sedute del Parlamento, ma con il dimezzamento da 10 a 5 milioni del corrispettivo economico.
Il Comitato di redazione di Radio Radicale “esprime forte preoccupazione per la situazione che si verrebbe a creare se la misura fosse approvata definitivamente dal Parlamento”.
Perché Radio Radicale rischia di chiudere
Il dimezzamento del corrispettivo economico per il servizio pubblico svolto da Radio Radicale – “peraltro invariato da 11 anni” – mette a rischio i posti di lavoro di “giornalisti, personale tecnico, amministrativo e archivistico” e “compromette la possibilità di proseguire un’attività che dura da oltre quarant’anni e la cui funzione è ampiamente riconosciuta”.
Il Comitato di redazione di Radio Radicale chiede “al Governo, al Parlamento, a tutte le forze politiche” di “riconsiderare una decisione che rappresenta un grave pericolo non solo per Radio Radicale ma per l’intero sistema dell’informazione nel nostro Paese”.
Tagli all’editoria | Quali giornali rischiano di chiudere
Ma non è solo Radio Radicale a rischiare la chiusura sotto i tagli del governo di Lega e Movimento 5 stelle.
Il “taglio graduale all’editoria” prospettato da Luigi Di Maio, che per il 2019 dovrebbe essere del 25% fino ad arrivare all’azzeramento totale nel 2022, mette a rischio la sopravvivenza di diversi quotidiani.
In tre anni sparirebbero i fondi all’editoria per i seguenti quotidiani:
Avvenire – 5,9 milioni di euro
Italia Oggi – 4,8 mlioni di euro
Libero Quotidiano – 3,7 milioni di euro
Il Manifesto – 3 milioni di euro
Il Foglio – 800 mila euro
Con loro, si vedrebbero azzerati gli stanziamenti i settimanali cattolici e le testate delle minoranze linguistiche.