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Quello che le donne vogliono (secondo internet)

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Attraverso pubblicità online mirate, i social e la rete propongono alle ragazze un modello di femminilità molto distante dalle aspirazioni reali di una donna moderna

Sono una donna di 28 anni. I miei profili di Facebook, Gmail e YouTube lo sanno benissimo, e hanno quindi deciso che la maggior parte della pubblicità che ricevo online debba riguardare test di gravidanza, marche di pannolini, maternità e simili.

Quasi ogni giorno, prima di poter ascoltare i Fat Freddy’s Drop su Youtube, sono costretta a vedere la gioia sul volto di due amiche che si confidano di essere rimaste incinte.

Facebook inoltre decide di mostrarmi, come pagine consigliate, forum o blog sulla maternità. A volte mi chiedo se iniziare a postare foto di gatti possa essere una mossa azzeccata per riuscire a convincere i grandi dei social network che non sono interessata all’argomento.

Un paio di giorni fa ho letto alcuni degli articoli che Facebook gentilmente mi consiglia. Una neo mamma confida che avere un figlio è una gioia talmente grande da far passare in secondo piano ciò a cui ha dovuto rinunciare da quando ha partorito: niente più sedute dal parrucchiere, niente più spesa al supermercato in tranquillità, niente più shopping in profumeria.

La pagina I consigli delle mamme mi mostra invece un’infografica con le varie tappe della vita di una donna: bambina, ragazza, donna dalla vita strettissima, capelli lunghi e tacco a spillo, e infine la stessa donna che solleva vittoriosa un bambino.

La didascalia: “La mia vita è tua, amore mio. Sono nata per arrivare a te”, riferendosi al bambino tenuto tra le braccia da una donna giunta al culmine della sua evoluzione.

In un piccolo off-topic, il sito Pianeta Mamma fa arrivare (non so come) un video sulla mia bacheca dal titolo “Come realizzare una fascia per capelli fai da te”. E via dicendo.

Gli articoli, pagine e pubblicità sulla maternità che ricevo tramite social media ricalcano spesso questi esempi. Il modello di donna che viene proposto è come segue: giovane, magra, bella, felice di aver un figlio, senza carriera o senza prospettive di averne una.

Questa rappresentazione femminile ricalca un modello familiare molto più vicino alla seconda metà del secolo scorso che non alla realtà di oggi: famiglie in cui un solo stipendio non basta nemmeno a coprire la rata del mutuo o l’assicurazione della macchina, figuriamoci a pagare le spese per mantenere uno (o più) bambini.

Mentre nella realtà le donne lavorano sempre più spesso, nei modelli pubblicitari con cui veniamo bombardate la priorità è comunque data alla maternità. A milioni di donne viene quotidianamente ricordato che, nonostante i successi nel mondo del lavoro, il nostro compito rimane comunque quello di figliare.

In queste pubblicità e articoli, il grande assente è il padre. Chi si emoziona per una gravidanza è sempre la donna, così come chi cambia pannolini, prepara da mangiare, imbocca il bambino, rimane sveglia di notte.

Allo stesso tempo, sono più o meno sicura che i social network degli uomini della mia fascia di età non sono intasati da pubblicità su come meglio scegliere la marca di pannolini per il figlio.

In questo modello, ancora oggi dominante, il padre è completamente esonerato da qualsiasi responsabilità della crescita del figlio, fatta eccezione portare a casa abbastanza soldi per poter comprare pannolini e pappette di qualità.

Il messaggio è chiaro: devo sbrigarmi a restare incinta, mollare il mio lavoro e fare affidamento sulle entrate economiche di un mio eventuale partner per poter comprare tutto ciò di cui mio figlio, la gioia più grande della mia vita, possa aver bisogno.

Perché è questo che noi donne vogliamo, no?

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