Sudan, proteste contro il presidente Al Bashir. Parla la comunità sudanese in Italia: “Governo criminale e assassino”
I rifugiati sudanesi in Italia hanno manifestato davanti l'ambasciata del Sudan, a sostegno dei manifestanti che da giorni sono scesi in piazza a Khartum e in altre città del paese suscitando la repressione violenta del governo
Proteste Sudan Al Bashir | “Non è solo una questione di pane. Questa dittatura va avanti da trent’anni. abbiamo accumulato sofferenza su sofferenza e i cittadini sudanesi oggi sono esplosi”. A parlare a TPI.it è Adam Bosh Nur, portavoce della comunità sudanese in Italia.
La mattina di giovedì 27 dicembre i rifugiati sudanesi che vivono nel nostro paese hanno protestato davanti l’ambasciata sudanese di via Panama, a Roma, a sostegno alle manifestazioni che si stanno tenendo in questi giorni in Sudan contro il presidente Omar al Bashir.
Bashir ha preso il potere nel 1989 con un colpo di stato. È destinatario di due mandati di arresto dalla Corte penale internazionale (del 2009 e del 2010) per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, in merito del suo ruolo nel cosiddetto “conflitto del Darfur”, che secondo l’Onu causò la morte di 300mila persone.
Le proteste per chiedere le sue dimissioni sono iniziate lo scorso 19 dicembre in diverse città, tra cui Khartum, Nyala e altre.
Secondo Amnesty International, sono già almeno 37 le persone uccise a seguito della repressione messa in atto dal governo sui manifestanti. Ma il governo sudanese non rilascia dati certi, e le vittime potrebbero essere molte di più, confida a TPI.it Adam Abdel Gadir, presidente del gruppo dei sudanesi in Italia. Secondo le informazioni in suo possesso – finora non confermate – dallo scoppio delle proteste sono finite in carcere più di 400 persone.
“Il nostro presidente in Sudan e il suo partito da 30 anni stanno rovinando il paese”, sostiene Adam Abdel Gadir. “L’economia è crollata, servono due sterline sudanesi per comprare il pane. Come mangiano i poveri? Non c’è gas per cucinare, non c’è benzina, niente. Decide tutto il partito di governo, che è un partito islamico che dice solo bugie, perché parla di Islam, ma non del vero Islam”.
“Chiediamo al governo italiano di non proteggere il governo sudanese, di non aiutarlo ad ammazzare il popolo sudanese”, aggiunge.
Nell’ultimo anno in Sudan c’è stata una grossa svalutazione della sterlina sudanese, e i prezzi sono cresciuti moltissimo.
Ma il portavoce della comunità sudanese in Italia, Adam Bosh Nur, spiega che quello che sta succedendo nel paese non è solo la conseguenza della mancanza di pane.
“Quello che sta succedendo è una terribile, ma non nasce da oggi”, dice. “È vero che manca il pane al popolo, ma non è solo quello. Sono trent’anni che c’è questa dittatura, i Fratelli musulmani che governano con le loro milizie hanno usato le armi chimiche in Darfur e ora stanno sparando. Quello del Sudan è un governo-cancro, criminale e assassino”.
“Negli ultimi anni nessuno parla del Sudan o del Darfur”, prosegue. “Prima se ne parlava, ma i giornalisti e la televisione italiana negli ultimi anni ci hanno dimenticato. La situazione è peggiorata rispetto a uno o due anni fa. Per questo noi chiediamo ai cittadini italiani, ai giornalisti, alle autorità, di parlare della situazione. Noi della comunità sudanese andremo anche al parlamento Ue e in qualsiasi luogo possano ascoltarci”.
La comunità sudanese a Roma
Negli ultimi mesi, TPI.it aveva già seguito le vicissitudini di questo gruppo di rifugiati sudanesi di Roma (circa un centinaio) che il 5 luglio 2018 erano stati sfrattati dall’edificio in cui vivevano a via di Scorticabove, in zona Tiburtina.
La cooperativa che doveva occuparsi della loro accoglienza era rimasta coinvolta nell’inchiesta di Mafia Capitale e non aveva più pagato l’affitto della struttura.
Ma i sudanesi, alcuni dei quali vivono da molti anni in Italia, volevano restare uniti, e avevano chiesto al comune una soluzione abitativa degna. Erano rimasti a dormire in strada fino al 3 ottobre, quando un nuovo sgombero ha distrutto tende e gazebi sotto i quali si riparavano.
Oggi una ventina di loro rimane insieme, alcuni dormono ancora nei furgoni. Per manifestare solidarietà al loro popolo si sono ritrovati davanti l’ambasciata sudanese di Roma.