Ponte Morandi: “La bobina non c’entra, non è mai caduta”, smentita la versione dell’ingegnere
“Vedendo alcuni video ho iniziato a ipotizzare che a far collassare il viadotto potrebbe essere stata la caduta del rotolo di acciaio trasportato dal camion passato pochi secondi prima. Secondo i calcoli che ho fatto se il tir, che viaggiava a una velocità di circa 60 chilometri orari, avesse perso il rotolo che pesa 3,5 tonnellate avrebbe sprigionato una forza cinetica pari a una cannonata”. A dirlo è Agostino Marioni, ingegnere ex presidente della società Alga che si occupò dei lavori di rinforzo della pila 11 nel 1993.
Poche ore dopo arriva però la smentita: “La bobina non c’entra, non è mai caduta. La bobina era ancora sul semirimorchio, nel proprio alloggiamento, quando il Tir è finito sotto il ponte Morandi. Lo si capisce da come si è deformata e dallo stato del mezzo. Tutto è documentato dalle foto della polizia”, ha detto Silvio Mazzarello, titolare della MCM Autotrasporti proprietaria del Tir di cui ha parlato l’ingegner Agostino Marioni.
“Prima di esprimere pareri, sarebbe necessario approfondire meglio quanto accaduto, la ditta è estranea alla vicenda. La mattina del 14 agosto sul ponte Morandi c’erano due Tir della Mcm Autotrasporti, entrambi partiti dall’Ilva di Genova e diretti allo stabilimento di Novi Ligure. Dal primo, transitato 2 minuti prima del crollo e arrivato regolarmente a destinazione, non abbiamo ricevuto alcuna segnalazione”, prosegue Mazzarello.
Il secondo Tir, invece, venne risucchiato all’indietro dal viadotto che stava crollando e il conducente, Giancarlo Lorenzetto,uscì illeso dalla tragica caduta. “Si sta facendo disinformazione. In 45 anni di attività abbiamo trasportato milioni di chili di coils e non abbiamo mai avuto problemi. Tutta la documentazione sul peso caricato, 30 quintali, era in regola. Così come la velocità, 29 chilometri orari. Dalla polizia, cui abbiamo trasmesso tutti i dati, non abbiamo ricevuto verbali né altre notifiche, se non quella del sequestro di mezzo e carico”, conclude Mazzarello.
L’ingegnere Marioni era stato sentito come persona informata dei fatti in procura dal pm Massimo Terrile che indaga sul crollo del ponte Morandi che il 14 agosto 2018 ha causato 43 morti.
L’idea che il camion potesse avere avuto un ruolo nel crollo del viadotto Polcevera era stata sollevata nei primi giorni dell’inchiesta dalla Procura e dai militari del Primo Gruppo della Guardia di Finanza, diretti dai colonnelli Ivan Bixio e Giampaolo Lo Turco. Tuttavia gli investigatori non avevano mai preso un considerazione l’idea che il mezzo, il suo peso e l’eventuale perdita del rotolo d’acciaio potessero essere la causa diretta del crollo.
Marioni nel 1993 era presidente della società Alga, che si era occupata dei lavori di rinforzo della pila 11, la quale “aveva problemi di corrosione legati a un difetto costruttivo. I cavi all’interno degli stralli non vennero sistemati bene per cui il calcestruzzo non li aveva perfettamente avvolti. Per questo si sono corrosi. Anche le pile 9 e 10 presentavano qualche problema ma in misura minore, di poco rilievo”.
Marioni, che oggi lavora in Cina, ha anche sostenuto che quel che resta del viadotto “non va demolito. Sarebbe come demolire il Duomo di Milano perché è crollata una guglia. La soluzione migliore sarebbe quella di riparare la struttura, magari facendo le parti in acciaio e a vista”.