“Madre generosa e affettuosa dal respiro tiepido”: la lettera di De André del ’97 letta per le vittime di Genova
Il cantautore aveva scritto nel 1997 una lettera dedicata alla sua città natale in cui esprimeva i sentimenti contrastanti, il desiderio di andar via e il bisogno di fare ritorno
Il 14 settembre 2018 si commemorano le vittime del crollo del ponte Morandi a Genova, avvenuto il 14 agosto e costato la vita a 43 persone.
Durante la cerimonia, Dori Ghezzi leggerà una lettera del cantautore Fabrizio De André alla città di Genova scritta nel 1997.
“Era la solita madre generosa nella spettacolarità dei paesaggi obliqui e cangianti, mamma affettuosa nell’elargizione di un clima da Shagri-La, genitrice estremamente severa nei confronti di chi si fosse lasciato cogliere addormentato al ritmo del suo respiro mediterraneo, sempre tiepido”, sono le parole della lettera di De André raccolte dal Corriere della Sera.
“Quella era Genova da cui mi dividevo per incidente d’amore e finimmo per disparentarci”.
Una madre, quindi, la città ligure che ha dato i natali al cantautore, ma anche un luogo che suscitava in lui sentimenti contrastanti.
“E così, fuggito alla schedatura dei miei tic da consumatore di femmine a pagamento e di adepto alla confraternita degli adoratori della lattuga ripiena, scampato al ricordo tutto genovese che avevo di me, mi sono un’altra volta riconosciuto nel sorprendente desiderio di riidentificarmi in quell’uomo che faceva quelle cose in quel posto”.
Una città da cui non si può mai davvero fuggire, la Genova di De André, che, nonostante la voglia di andar via, è dovuto scendere a patti con il sentimento di nostalgia che cresceva forte in lui e far ritorno alla sua città.
“Fu qualche anno fa che quella città immobilizzata nel sogno ridiventò all’improvviso un presentissimo oggetto, nel senso che mi si gettò contro a riempire di orribili ricatti gli spazi lunghi delle veglie, tirandomi in faccia i cefali alla nafta della Foce, le bocche incantate sul pesce d’oro”, continua la lettera di De André.
“Altre notti prendeva a fischiarmi nei denti una tramontana di tordi al passo e le trote del ‘Lerone’ frantumavano l’acqua immobile delle pozze”.