Ponte Genova, l’ingegner Brencich: “Ecco perché mi sono dimesso dalla Commissione d’inchiesta del Governo”
TPI ha intervistato il tecnico che ha rinunciato all'incarico conferitogli dal ministro Toninelli dopo le polemiche per il suo precedente ruolo nel comitato che approvò il piano di Autostrade
L’ingegnere Antonio Brencich ha rassegnato ufficialmente le dimissioni dalla Commissione d’indagine istituita dal Governo sul crollo del ponte Morandi di Genova. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli allo stesso tempo ha dato mandato per la revoca dall’incarico di presidente della stessa commissione per l’architetto Roberto Ferrazza.
Sia Brencich sia Ferrazza, rispettivamente da relatore esperto e da presidente, avevano firmato il verbale del comitato tecnico amministrativo che nel febbraio 2018 aveva dato parere favorevole al progetto di ristrutturazione del ponte presentato da Autostrade per l’Italia.
Questa relazione è tra il materiale documentale che dovrà essere preso in esame dalla stessa Commissione d’indagine istituita dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Un cortocircuito che ha generato polemiche sull’opportunità degli incarichi e portato alle dimissioni di Brencich e alla revoca dell’incarico a Ferrazza.
Brencich già nel 2016 aveva espresso forti perplessità sulla sicurezza del ponte Morandi.
Brencich, perché ha rassegnato le dimissioni dalla Commissione ministeriale?
La questione del verbale di febbraio ha generato una pressione mediatica non trascurabile, ma anche è al centro di una questione politica. Tutte queste cose non fanno bene alla serenità degli accertamenti. Siccome nessuno è indispensabile, io già tre giorni fa avevo comunicato le dimissioni al Ministero.
Queste cose si fanno al momento giusto e questo era il momento giusto.
A proposito del verbale, perché ha firmato il verbale del comitato tecnico amministrativo che ha approvato il progetto di ristrutturazione del ponte Morandi?
Io ho sempre parlato di costi di manutenzione talmente alti che suggerivamo di sostituire il ponte invece che ripararlo. Io mi sono trovato a valutare un progetto. Dalle carte ho visto che era stata rilevata una corrosione dei cavi – e non era la prima volta che veniva rilevata – e questo confermava l’idea che che il ponte era soggetto a corrosione.
Chi ha fatto il progetto aveva fatto delle valutazioni sulla sicurezza dell’opera, perché certo i numeri erano attorno all’8-16 per cento di corrosione, numeri che non sono spaventosi. Le strutture hanno dei margini di sicurezza. Comunque doveva esserci una verifica di sicurezza e poi c’era un progetto che si preoccupava di fare qualcosa.
Visto che erano state fatte delle osservazioni, noi abbiamo valutato questo. Poi abbiamo mandato tutto rapidamente al ministero a Roma, perché quello è un parere consultivo. In seguito l’approvazione del progetto è stata fatta da Roma.
Questa situazione, che genericamente non imponeva un mio passo indietro, ha generato una questione generale politica (non partitica) che ha portato all’opportunità di ritirarmi, per una maggiore serenità.
Ma perché ha accettato il ruolo nella Commissione pur essendo stato già coinvolto nel comitato tecnico amministrativo sul progetto di ristrutturazione del ponte Morandi?
Io pensavo addirittura che la mia nomina fosse legata a quello. Mi hanno detto “siete in qualche modo già coinvolti”. Quindi io ero convinto che la mia nomina e quella di Ferrazza fossero legate a quella consulenza.
Quindi non avete pensato che aver fatto parte del Comitato tecnico avrebbe comportato che anche il vostro stesso operato sarebbe stato al centro delle verifiche della Commissione?
Lì per lì non mi è venuto questo pensiero. Anche perché quella non è una valutazione di sicurezza del ponte. Noi non siamo stati coinvolti in qualche organo che avrebbe dovuto decidere se tenerlo aperto, limitarlo o cosa fare. Era un contesto diverso.
Io ho attribuito la mia attività di ingresso nella Commissione a quello perché altrimenti ci sarebbero state altre persone in Italia ben più adatte di me. Poi quella questione che io vedevo in senso positivo ha assunto dei contorni diversi e quindi ho fatto un passo indietro.
Quella consulenza in cosa consisteva? Non c’era la possibilità di valutare di alleggerire il traffico sul ponte, vista la predisposizione al deterioramento della struttura?
La gestione della sicurezza e del traffico non spettava a quella Commissione. La Commissione aveva dei dati, forniti da Autostrade, e si è basata su quelli. Quei dati non facevano sospettare il pericolo. Adesso perché il ponte sia crollato, nonostante i dati non facessero sospettare il pericolo, è al centro delle indagini che stanno facendo i periti del tribunale.
Noi avevamo solo i dati di Autostrade e non avevamo nemmeno la possibilità di fare verifiche su quei dati. Abbiamo guardato che ci fosse una coerenza, se il processo progettuale fosse corretto.
Quindi la riduzione d’area totale dei cavi dal 10 al 20 per cento non era un dato preoccupante.
10-20 per cento non è preoccupante perché le strutture hanno dei margini di sicurezza maggiori. E oltre a ciò c’erano dei calcoli che dimostravano che c’era comunque un ulteriore margine rispetto al massimo carico. Quindi abbiamo preso atto.
In base ai dati forniti da Autostrade, gli unici che avevate, quindi non si registravano preoccupazioni?
Noi abbiamo giudicato in base a questi dati. Non solo io o i sei firmatari del verbale. Il comitato tecnico era ampio: ci saranno state una ventina di persone che hanno sentito e posto domande ad Autostrade. La decisione è stata presa da un comitato esteso.