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Razzismo, “Chi guida questo paese dovrebbe operare con maggiore freddezza e ragione”: parla il procuratore Armando Spataro

Immagine di copertina
Credit: AFP PHOTO / GIUSEPPE CACACE

Armando Spataro, procuratore capo di Torino, in un’intervista esclusiva a TPI commenta gli ultimi accadimenti di cronaca che hanno visto coinvolti stranieri aggrediti, feriti o addirittura uccisi per motivi di odio razziale

“Non mi esprimo sulle singole vicende, per alcune delle quali le indagini sono ancora in corso, ma non vi è dubbio che assistiamo ad una crescita di episodi di matrice xenofoba, che si verificano in zone diverse d’Italia, e questo dovrebbe far riflettere”.

Così parla il procuratore capo di Torino, Armando Spataro, che in un’intervista esclusiva a TPI commenta gli ultimi accadimenti di cronaca che hanno visto coinvolti sempre più stranieri aggrediti, feriti o addirittura uccisi per motivi di odio razziale.

Prima una bambina rom di 15 mesi viene colpita alla spalla, perforata da un proiettile, poi un marocchino muore, inseguito e aggredito da due italiani ad Aprilia, e l’ultima aggressione all’atleta Daisy Osakue: vi è un aumento dei reati d’odio legato all’attuale clima politico?

Non sono un sociologo, faccio il pm, parlo sulla base delle mie conoscenze: in alcuni casi la vera matrice è ancora da accertare, ma di certo si vive in un clima in cui affermazioni sempre più diffuse e che circolano anche in ambiti politici rischiano di aumentare l’allarme, di far crescere l’odio e di indurre persino i cittadini a rinunciare a parte dei loro diritti in nome della sicurezza.

Questo clima rischia di diffondersi. Trovo che occorrano più freddezza e più ragione, di cui dovrebbe farsi carico chi ha la responsabilità di guida politica del paese.

Sul clima d’odio si è recentemente espresso anche il presidente della Repubblica Mattarella, mentre il premier Conte e vice premier Di Maio hanno preferito appoggiare la linea Salvini. Da un punto di vista istituzionale non crede che forse c’era bisogno di maggiore supporto anche per il lavoro della magistratura?

Apprezzo evidentemente quello che ha detto Mattarella che ha ben rappresentato ciò che una democrazia deve esprimere, ma non si tratta di un tema che richiama la necessità di appoggio alla magistratura, che non ne ha bisogno e che deve comunque andare avanti per la sua per strada. Non apprezzo neppure certi miei colleghi che lamentano la propria supposta solitudine, che – diceva Borrelli – è lo stato normale del lavoro del magistrato.

Da parte sua l’interesse per combattere i reati legati all’odio razziale è evidente, non ultima la direttiva del 9 luglio.

La direttiva del 9 luglio è anteriore a tutto questo inasprirsi del clima, anche se certo nella provincia di Torino si erano già verificati alcuni episodi connotati da odio razziale. La direttiva è frutto del rilievo sociale, ma soprattutto giuridico, di queste situazioni che impongono risposte adeguate.

Come giuristi scegliamo di perseguire come priorità i reati motivati da odio razziale visto che anche il Csm ha invitato i procuratori a selezionare, tra le migliaia di processi che iscriviamo per reati meno gravi, quelli che devono essere trattati prioritariamente.

La direttiva, dunque, deriva dal rilievo giuridico della questione. Altrettanto deve dirsi per le direttive impartite per le procedure di riconoscimento di protezione internazionale: la nostra competenza entra in ballo in caso di ricorso contro il rigetto delle relative istanze, ma i ricorsi sono oggi notevolmente aumentati. Ecco perchè ho costituito un gruppo specializzato di PM già da quando sono arrivato a Torino ed ora abbiamo elaborato procedure più veloci per la formulazione del nostro motivato parere sui ricorsi.

Per il resto, non invidio chi deve misurare le conseguenze di un fenomeno, quello migratorio, che però non è solo italiano o europeo”.

Di che fenomeno parliamo?

È un fenomeno mondiale, basti pensare ai flussi verso il sud del continente africano, a quelli tra l’Indonesia e l’Australia, a quelli nel Myanmar tra sud e nord: bisogna prenderne atto.

E non si può fare un paragone neppure rispetto a quello che accadeva 20 anni fa, perché si tratta di un fenomeno che evolve nel tempo. Con ciò voglio dire che bisogna punire con decisione chi commette reati approfittando di questa situazione di emergenza, ma alle democrazie spetta considerare questo fenomeno nella sua globalità. Quando noi emigravamo verso il nord Africa non lo facevamo certo per bisogno, ma per sfruttarne le risorse.

La risposta a quella che è stata descritta come una “invasione di immigrati” si riflette anche nel fenomeno delle ronde, o passeggiate per la sicurezza. Come le considera?

Ricordo, e parliamo della fine del decennio scorso, le ronde per la sicurezza, un vero bluff,  oltre che una misura inaccettabile in democrazia perché, secondo la Costituzione, le misure che attengono alla sicurezza non sono di competenza delle autorità territoriali: competono al governo, all’autorità centrale.

A inizio luglio, il ministro dell’Interno Salvini ha firmato la direttiva diramata a tutti i prefetti, i questori, la commissione nazionale per il diritto d’asilo e i presidenti delle commissioni territoriali che mira a ridurre i riconoscimenti della protezione umanitaria. Cosa ne pensa?

I magistrati professionali esaminano solo ricorsi, ma a me pare anomalo che si possa raccomandare alle commissioni territoriali – dotate comunque di una loro autonomia valutativa – un giro di vite nelle loro decisioni. Noi comunque esaminiamo i ricorsi con la dovuta attenzione, quella che si deve dedicare a questo tipo di problema e che contribuisce   A legittimare  le democrazie, specie nel contesto in cui viviamo.

Personalmente, anche se non sono esperto della materia, sarei anche favorevole a rivisitare il concetto di migrante economico. Oggi tutto è cambiato.

L’attuale governo ha però sempre ribadito di essere disposto a valutare le richieste di protezione.

Lo dice la legge e questo basta. La legge prevede che chiunque arrivi in Italia (ma non solo) e chieda la protezione internazionale ha diritto a vedere esaminata la propria domanda e non puó essere prima respinto. Ciò indipendentemente dalla linea dei governi. Dopodiché la sua domanda può essere rigettata: il diritto a una valutazione della domanda di protezione, infatti,  non vuol dire automaticamente che la stessa debba essere  accolta.

 Se poi la commissione territoriale – perché sono le 26 commissioni territoriali che decidono su queste domande – respinge la domanda, il proponente può fare ricorso al tribunale, ed a questo punto entra in gioco la giustizia ordinaria.

Il tribunale decide sul ricorso e  i pubblici ministeri esprimono il loro parere: nessuno, all’evidenza, può darci indicazioni o auspicare giri di vite.

Occorre invece esaminare con attenzione le ragioni dei respingimenti e quelle opposte dei ricorrenti.

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