Per i pm condannare Cappato per la vicenda di dj Fabo sarebbe “contro lo Stato”
L'esponente radicale è imputato per aver accompagnato il 40enne milanese Fabiano Antoniani a morire in Svizzera nel febbraio 2017
La procura di Milano ha chiesto l’assoluzione di Marco Cappato, imputato per aiuto al suicidio in relazione alla vicenda di Dj Fabo, “perché il fatto non sussiste”.
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I pubblici ministeri Tiziana Siciliano e Sara Arduini hanno chiesto, in alternativa, alla Corte d’assise di sollevare l’illegittimità costituzionale per l’accusa contro l’esponente dei Radicali e presidente dell’associazione Luca Coscioni.
“Secondo noi l’aiuto al suicidio deve riguardare il momento esecutivo del suicidio, non le fasi pregresse. E nella fase esecutiva del suicidio di Fabiano Antoniani, Cappato non ha svolto nessun ruolo”, le parole del pm Sara Arduini nella requisitoria.
Cappato è imputato per aver accompagnato il 40enne milanese Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, rimasto tetraplegico e cieco dopo un grave incidente d’auto, a morire in Svizzera il 27 febbraio 2017.
“Il nostro compito, quello del pubblico ministero, continua a essere quello di rappresentanza dello Stato. In altri ordinamenti, pur civilissimi, il pubblico ministero è l’avvocato dell’accusa. Non da noi: io mi rifiuto di essere l’avvocato dell’accusa. Io rappresento lo Stato, e lo Stato è anche l’imputato Cappato. (…) Quindi la funzione del pubblico ministero è sollecitare la potestà punitiva dello Stato laddove vi siano gli elementi di fatto e di diritto perché questo avvenga. Laddove questo non venga riscontrato, anche all’esito del dibattimento che è stato svolto, la funzione del pubblico ministero (…) è di sollecitare una formula assolutoria per l’imputato”, ha detto la pm Tiziana Siciliano.
Il video:
Il processo è andato in scena dopo che il gip Luigi Gargiulo aveva respinto la richiesta di archiviazione della Procura, disponendo l’imputazione coatta di Cappato per agevolazione al suicidio e rafforzamento del proposito suicidario di Dj Fabo, reato previsto dall’articolo 580 del codice penale.
“Come emerso dai testimoni ascoltati in aula la decisione del suicidio assistito era già stata presa da Fabiano prima ancora di entrare in contatto con Cappato”, ha detto il magistrato in aula.
“Già a primavera 2016 la fidanzata di Fabiano aveva preso contatto con la clinica svizzera Dignitas, provvedendo al pagamento della quota associativa. Fabiano era così determinato nella sua scelta da intraprendere uno sciopero della fame e della parola. La sua decisione irreversibile è stata presa prima di conoscere Cappato”.
Secondo il pm, quindi “Cappato non ha avuto nessuna influenza sul proposito di Fabiano. Fino alla fine chiese a Fabiano se ci voleva ripensare”.
“Cappato non ha rafforzato il proposito suicidario di Fabiano, ha semplicemente rispettato la sua volontà e, come emerge dagli atti depositati a processo, non c’è nessun dubbio sulla piena capacità di intendere e di volere di Fabiano”.
Da parte sua Marco Cappato, nelle sue dichiarazioni spontanee ha detto che “se dovesse essere giudicato irrilevante l’aiuto che ho dato a Fabiano, a una assoluzione preferisco una condanna”.
“Sono andato ad aiutare una persona che aveva il diritto a morire con dignità” ha dichiarato.
I difensori dell’esponente radicale hanno chiesto l’assoluzione del loro cliente “perché il fatto non sussiste”.
Cappato ha poi continuato chiedendo alla Corte una riflessione sul numero di persone che in Italia in questi anni si sono recate oltre confine per praticare il suicidio assistito in modo clandestino.
“La differenza è che qui Fabiano ha voluto agire pubblicamente. Se dovesse arrivare una assoluzione che definisce irrilevanti le mie azioni, mentre sono stati determinanti, vi dico che preferirei una condanna”.
“Quella motivazione paradossalmente aprirebbe la strada a qualcosa che nessuno può volere: si accetterebbe che solo chi è in grado di raggiungere la Svizzera può essere libero di scegliere”, ha detto Cappato.
Ha poi concluso dicendo che “Fabiano, quando ha deciso di rendere pubblica la sua storia, lo ha fatto con la presunzione di porsi come modello, ma di chi si assume pubblicamente la responsabilità delle proprie scelte. Questo significa che altri, nelle stesse condizioni o peggiori, si possono assumere le responsabilità per scelte opposte”.