Il nuovo piano dell’Unione Europea sull’immigrazione
Prevede la ridistribuzione in altri Paesi dell'Unione Europea di un totale di 40mila persone, 26mila dall’Italia e 14mila dalla Grecia, nei prossimi due anni
Il 22 giugno i ministri degli Affari Esteri dell’Unione Europea hanno approvato il lancio di una nuova operazione navale contro i gruppi criminali di trafficanti che trasportano migranti dalla Libia alle coste europee, anche se per adesso la missione si limiterà a raccogliere informazioni. Prima di poter effettuare operazioni militari in acque internazionali, infatti, è necessario ottenere l’approvazione delle Nazioni Unite.
Questa prima fase, volta soprattutto a rafforzare la sorveglianza sulle coste libiche, avrà inizio intorno al 29 giugno.
Il 27 maggio la Commissione europea ha adottato il primo piano operativo dell’agenda europea sull’immigrazione. La strategia nasce dall’esigenza di gestire meglio l’accoglienza dei migranti ed evitare il ripetersi di ulteriori tragedie nel Mediterraneo.
Negli ultimi vent’anni, sono morti 23mila migranti nel tentativo di raggiungere l’Europa, di cui 1.826 dall’inizio del 2015.
Il piano avanzato dalla Commissione europea ha scatenato accesi dibattiti ed è stato ostacolato da numerosi Paesi, tra cui Francia, Repubblica Ceca, Ungheria e Lituania.
Proprio a causa delle divergenze tra i diversi Paesi membri dell’Unione Europea, durante il vertice dei ministri degli Interni del 16 giugno non è stato raggiunto alcun accordo in merito alla redistribuzione dei richiedenti asilo tra i vari Paesi europei.
Un nuovo incontro si terrà a Bruxelles il 25 e 26 giugno.
Il ricollocamento d’emergenza
Il piano introduce delle regole per ridistribuire i richiedenti asilo tra i vari Paesi dell’Unione europea, con l’eccezione di quelli che non hanno aderito – Regno Unito, Irlanda e Danimarca – perché godono del cosiddetta clausola dell’opt-out sul tema immigrazione.
Rispetto alle proposte iniziali più ambiziose, in cui si parlava di una sistema di quote fisse obbligatorio per tutti, esistono ora nuovi limiti. Saranno ricollocati solo i richiedenti asilo siriani ed eritrei arrivati dopo il 15 aprile 2015 in Italia e Grecia, i due Paesi dove si verificano la maggior parte degli sbarchi.
Il piano prevede la ridistribuzione di un totale di 40mila persone (26mila dall’Italia e 14mila dalla Grecia) nei prossimi due anni. La cifra corrisponde al 40 per cento del numero totale dei richiedenti asilo arrivati in questi due Paesi nel 2014.
La Commissione ha detto che il meccanismo d’emergenza potrebbe essere esteso anche a Paesi come Malta, nel caso si verificassero situazioni straordinarie.
Si parla inoltre di una prossima revisione delle regole di Dublino, secondo cui i migranti possono presentare domanda di asilo per motivi politici o umanitari solamente nel primo Paese in cui arrivano.
I criteri per la ridistribuzione nei vari Paesi, in ordine di importanza, sono: la popolazione (che conta per il 40 per cento), il prodotto interno lordo (40 per cento), il numero dei richiedenti asilo che già vi hanno fatto domanda (10 per cento) e il tasso di disoccupazione (10 per cento).
Per questo piano, l’Unione europea ha stanziato 240 milioni di euro.
Il ricollocamento volontario
La Commissione ha inoltre adottato una raccomandazione che non ha valore vincolante, in cui chiede agli stati membri di ridistribuire altri 20mila richiedenti asilo in un periodo di due anni. Nel biennio 2015-2016, saranno stanziati 50 milioni di euro per questo programma.
L’operazione Triton
Dopo la fine dell’operazione della marina militare italiana Mare Nostrum, che l’anno scorso ha salvato 150mila persone, nel novembre 2014 l’Unione europea ha approvato Triton, un’operazione navale nel Mediterraneo gestita dall’agenzia europea per il controllo delle frontiere (Frontex)
Il nuovo piano prevede: un rafforzamento di Triton (le operazioni di ricerca e soccorso in mare potranno spingersi anche più a sud di Malta, per coprire l’intera area dove prima operava Mare Nostrum); la redazione di una lista di imbarcazioni sospette che potrebbero essere usate per il traffico di esseri umani; la cooperazione e lo scambio di informazioni tra gli stati membri, per rintracciare e fermare i trafficanti.
La Commissione ha inoltre proposto operazioni militari per combattere i trafficanti nei porti libici e distruggere le imbarcazioni prima che salpino. L’Unione europea è in attesa dell’approvazione delle Nazioni Unite, perché per queste operazioni è necessario spingersi in acque internazionali.
Quest’ultimo punto del piano è stato criticato anche dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, perché rischia di fare esplodere nuove tensioni nel già instabile contesto libico.
Inoltre, le operazioni militari potrebbero essere poco efficaci: le imbarcazioni appartengono spesso a piccoli pescatori e vengono acquistate per la traversata solo alcuni giorni prima, rendendo quasi impossibile colpire solamente quelle utilizzate dai trafficanti.
Wikileaks, l’organizzazione di Julian Assange, ha inoltre pubblicato due protocolli riservati dell’Unione Europea che definiscono in modo esplicito la missione in Libia come “un’operazione militare” più che un piano per salvare i migranti, delineando un possibile intervento anche via terra.