Perché il Movimento 5 Stelle si chiama così?
Da dove nascono e cosa vogliono dire il nome e il simbolo della forza politica fondata da Grillo e Casaleggio
Il Movimento 5 Stelle, fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio nell’ottobre del 2009, rappresenta ormai una realtà consolidata della scena politica italiana, tanto da essere stato il partito più votato alle elezioni del 4 marzo 2018.
Già nel corso delle passate consultazioni elettorali del 2013 raggiunse un risultato che sorprese, oltre agli osservatori e ai sondagisti, anche gli stessi attivisti del movimento.
Il M5S, infatti, ottenne il 25,5 per cento dei consensi alla Camera dei deputati, risultando la lista più votata.
Al Senato prese il 23,8 per cento, piazzandosi dietro solo al Partito Democratico, allora guidato da Pierluigi Bersani.La scelta di utilizzare la parola “movimento” è da ricercare nella volontà di allontanarsi dalla classica definizione di “partito”, preferendo locuzioni come “libera associazione di cittadini” o “non associazione”.
Ma da dove trae origine il termine “5 stelle”, che compare nel logo della forza politica maggiormente in ascesa degli ultimi anni?
Le stelle si riferiscono alle cinque tematiche fondamentali nel progetto politico del Movimento.
Si tratta della tutela dell’acqua pubblica, della mobilità sostenibile, dello sviluppo, della connettività e dell’ambiente.
Il concetto di stelle, però, porta alla mente soprattutto la graduatoria per stabilire la classificazione della qualità, e del costo, degli alberghi.
Ed è proprio il riferimento agli hotel di lusso ad aver ispirato il nome del “non partito” guidato oggi da Luigi Di Maio.
Il padre spirituale del Movimento, Beppe Grillo, nei primi comizi fondativi sosteneva infatti che se non fossero esistiti i partiti, composti da politici “ladri e corrotti” e sostenuti da un’informazione asservita al potere, “potremmo tutti condurre una vita a cinque stelle”, come se fossimo ospiti di un resort.
“Ciao a tutti, sono Luigi Di Maio, ho 23 anni e studio Giurisprudenza alla Federico II”. Con queste parole si presentava in un video del 2010 l’allora candidato al Consiglio comunale di Pomigliano, divenuto oggi leader politico del Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio.
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Indossava un maglioncino scuro sopra una camicia. Erano i tempi del Vaffa-Day e di un movimento che si riuniva intorno a una guida incontrastata, quella di Beppe Grillo, per chiedere la distruzione più che la costruzione. La distruzione dei privilegi, della “casta”, del sistema.
Dopo otto anni, una legislatura da parlamentare e un incarico da vicepresidente della Camera, la mattina del 5 marzo 2018 Di Maio, vestito di tutto punto e scortato, è salito sulla pedana montata dentro il Parco dei Principi Grand Hotel (che ha cinque stelle proprio come il Movimento) e, forte di una vittoria che ha portato i Cinque Stelle a guadagnare circa due milioni di elettori rispetto al 2013, ha tenuto un discorso da leader politico ormai riconosciuto da tutti.
A prescindere dalla possibilità di arrivare o meno al governo del paese, che dipenderà dalle consultazioni e dalle negoziazioni con le altre forze politiche, per il Movimento si tratta sicuramente di una svolta.
Abbandona infatti le sue origini anti-partito e anti-sistema per entrare di petto nell’ecosistema che prima criticava e delegittimava.
Che piaccia oppure no (a giudicare dal risultato elettorale, piace eccome) è finita l’era degli insulti alle istituzioni al presidente Napolitano, del “no alle alleanze” in virtù di una purezza assoluta ed esclusiva, dei toni spregiudicati e dissacranti. La metamorfosi del M5S: dal Vaffa-day a ”partito della responsabilità”.