Ospedale di Noto, trasferiti i reparti di ginecologia e pediatria. Il sindaco a TPI: “Manovra politica”
Due mamme sono in sciopero della fame dall'8 aprile contro la chiusura dei reparti presso l'ospedale di Trigona, che dovevano essere trasferiti solo temporaneamente a Siracusa
Uno spostamento dei reparti di ginecologia e pediatria che doveva durare 30 giorni ma poi è diventato definitivo. È questa la causa della recente mobilitazione dei cittadini di Noto, che stanno lottando da settimane in difesa dell’ospedale di Trigona.
Venerdì si è svolta nella cittadina della sicilia orientale una grande manifestazione e una fiaccolata è in programma per domani, mentre due mamme, Anna Tanasi e Anna Serafia, lunedì 8 aprile hanno avviato uno sciopero della fame. Perfino il vescovo, monsignor Antonio Staglianò, è intervenuto al fianco dei cittadini.
Tutto è iniziato all’inizio di febbraio, quando l’Asp locale ha trasferito i reparti di ginecologia e pediatria nell’ospedale Umberto I di Siracusa, per mancanza di personale medico pediatrico che impediva di assicurate la turnazione e quindi il servizio sanitario continuativo.
“Sono venuto a conoscenza della decisione dell’Asp perché se ne parlava sui social network, non avendo mai ricevuto comunicazione ufficiale”, racconta a TPI il sindaco di Noto Corrado Bonfanti.
“Appena ho iniziato a muovermi per prendere informazioni, sono stato convocato dai vertici dell’Asp e mi hanno detto che dal 1 marzo era necessario trasferire i reparti per l’assenza di pediatri, per massimo 30 giorni. Siamo usciti da quella riunione convinti di aver fatto una cosa giusta per la sicurezza e addirittura abbiamo scritto un comunicato congiunto per evitare di esasperare gli animi, con grande senso di responsabilità”, prosegue il sindaco.
Entro il 30 marzo dunque i reparti sarebbero dovuti rientrare a Noto, rimanendo a Siracusa solo il tempo necessario a effettuare il bando pubblico per reperire il personale mancante.
“Nei giorni successivi è continuato il dialogo e il 20 marzo l’allora facente funzione di primario, il dott. Pino Testa, ha comunicato di essere pronto a far riaprire il reparto di Pediatria a Noto a partire dalla settimana successiva. Il giorno successivo, però, l’Asp lo ha sollevato dalla funzione di primario”, racconta Bonfanti.
Alla scadenza del 30 marzo, i reparti non sono ancora tornati né sono arrivati i nuovi pediatri. Viene disposta una proroga fino al 15 aprile.
Il direttore sanitario dell’Asp, convocato dal consiglio comunale, in quel momento assicura che, nel momento in cui si potrà rioperare in sicurezza, i reparti torneranno all’ospedale di Noto. In questa fase, aggiunge, si potrà avviare, vista la concorde determinazione del manager, l’inserimento dei reparti di riabilitazione e lungodegenza presso la struttura, in delle aree ben precise e diverse da quelle dei reparti trasferiti.
“Dopo qualche giorno invece si viene a sapere che è stata data disposizione al direttore sanitario dello stabilimento Avola-Noto di inserire i reparti di riabilitazione e lungodegenza negli stessi spazi occupati prima da ginecologia e pediatria”, dice il sindaco di Noto. “Questo è stato visto come la più grande presa in giro e il più grande colpo alla dignità di questa comunità, ed è iniziata la protesta”.
I cittadini di Noto si sono riuniti nel Comitato ProTrigona, un gruppo senza bandiere di partito, di cui fanno parte personalità di tutte le formazioni politiche, ma anche membri di associazioni e sindacati.
“All’interno del comitato tutte le bandiere politiche devono essere ammainate”, conferma a TPI l’avvocato Giorgio Giannone, del Comitato ProTrigona.
Sul tentativo di inserire nell’ospedale i reparti di riabilitazione e lungodegenza dove prima si trovavano quelli di ginecologia-ostetricia e pediatria, l’avvocato commenta: “Non si capisce la logica di questa decisione. Se dovevano tornare i reparti di ostetricia e pediatria, perché inserire lungodegenza proprio lì, quando questo reparto ha già un piano dedicato all’interno dell’ospedale di Noto?”
Nonostante le proteste dei cittadini di Noto, sinora non si è riusciti ad avviare un dialogo con le autorità regionali e l’Asp.
“Finora c’è stata una sorta di muro di gomma dall’altra parte. Non veniamo ascoltati”, spiega Giannone. “Abbiamo fatto una manifestazione con oltre 3mila persone e loro si limitano a rispondere che qui a Noto veniamo aizzati a commettere reati, cosa che non è assolutamente vera. C’è stata una manifestazione pacifica di mamme. Due donne stanno facendo uno sciopero della fame già da una settimana e nessuno si è degnato di chiedere quale sia il problema. Neanche il prefetto si è visto”, aggiunge.
Il Comitato è nato per mobilitarsi contro il trasferimento dei reparti di ginecologia e pediatria, ma adesso ha posto sul piatto altre rivendicazioni.
“La questione dei reparti è il punto da cui è partita la nostra protesta, che su questo continuerà”, spiega Giannone, “ma noi ora abbiamo iniziato a mettere in discussione tutta la rifunzionalizzazione”.
A spiegare i termini della questione a TPI è Pietro Rosa, ex presidente della commissione speciale consiliare.
“La commissione ha effettuato uno studio da cui sono derivate due mozioni in Consiglio Comunale”, dice Rosa. “Questo studio ha evidenziato che nell’ospedale riunito Avola-Noto, e dunque nella zona Sud, mancano 119 posti letto su quelli previsti ai sensi della Balduzzi, la legge nazionale recepita dalla rifunzionalizzazione in Sicilia, che prevede 3.7 posti letto per mille abitanti. Noi stiamo facendo una battaglia per questo motivo, non capiamo perché dobbiamo essere sottodimensionati”.
La provincia di Siracusa è divisa in tre zone: nord, centro e sud. Secondo i dati citati da Rosa, alla zona centro (Siracusa e dintorni) in questo momento viene attribuito il 2.99 per mille; alla zona nord il 4.21 per mille; alla zona sud solo l’1.83 per mille.
“Secondo lei in questo modo viene rispettata l’uniformità territoriale?”, chiede Rosa. “A prescindere che questi posti vadano ad Avola o a Noto, non ci importa, noi chiediamo la sanità che meritiamo per parametro di legge”.
Sempre secondo la Commissione speciale, tra il primo gennaio 2016 e il primo semestre 2018 l’Asp di Siracusa ha versato all’Asp di Ragusa per mobilità esterna la media di 5 milioni di euro l’anno. “Invece di investire questi soldi in mobilità esterna, perché non riportiamo la sanità nel Siracusano, soprattutto visto che mancano i posti letto nella zona Sud? La struttura c’è”, dice l’ex presidente.
“Il mancato rientro dei reparti sa proprio di attuazione di una rifunzionalizzazione che non ci era stata annunciata in questi termini. È stata improvvisa e apparentemente a tradimento, per questo i cittadini si sono imbestialiti”, spiega. “In questo momento la zona sud in realtà non ha punto nascita. Se una donna ha necessità di partorire e si trova ad Avola, a Noto, a Portopalo di Capo Passero, a Pachino, attualmente dovrebbe andare a Siracusa”
Da Portopalo, che è l’estremo lembo della Sicilia, sono oltre 50 chilometri. E i problemi riguardano anche la capienza del reparto siracusano, sottoposto a numeri maggiori rispetto alla sua capienza abituale.
“Con questo tipo di rifunzionalizzazione, inoltre, anche il pronto soccorso dell’ospedale di Noto sarà chiuso”, dice Rosa. “Ed è uno dei pochi pronti soccorsi in Sicilia che ha il collegamento diretto con l’ascensore e le sale operatorie”.
“Allo stato attuale c’è confusione”, dice il sindaco di Noto Corrado Bonfanti, “l’Asp rinuncia a svolgere il proprio ruolo per il bene della comunità, quindi a trovare soluzioni per garantire i servizi sanitari. L’assessore e il manager non vogliono incontrare nessuno. Il vescovo sta provando a mediare, finora senza successo”.
“Chi dovrebbe risolvere tecnicamente il problema in questo momento è assente, perché glielo dice la politica. Chi vuole fare il bene della comunità invece è con i cittadini, a continuare questa protesta estenuante con lo sciopero della fame delle due mamme e un sit in fuori all’ospedale per non abbassare la guardia”, sostiene.
Bonfanti parla di una “manovra prettamente politica”.
“Ho spiegato anche più volte alle comunità della zona sud, ma anche alla comunità di Siracusa, che un reparto di ginecologia e pediatria all’Umberto I, dimensionato per il bacino di Siracusa, non può reggere l’urto del bacino sud, con 110mila abitanti. Quindi è malasanità per questa zona, ma anche per l’Umberto I. La gente viene sdoganata su Lentini o Catania, oppure messa nei lettini in corridoio. È una situazione che dovrebbe essere risolta con decisioni tecniche-sanitarie, invece sta diventando una battaglia politica che nulla ha a che fare con la sanità. Qualche interesse sotto ci sarà, ma io non voglio né posso fare un processo alle intenzioni, devo tutelare l’interesse della mia comunità, di avere dei servizi che funzionano”.
L’Asp di Siracusa ha pubblicato delle precisazioni, in cui sostiene che il sindaco Bonfanti avrebbe avallato lui stesso l’accordo sottoscritto dal precedente governo regionale e con la precedente direzione dell’Asp di Siracusa, secondo il quale l’ospedale di Noto era stato destinato ad ospitare reparti di riabilitazione e lungodegenza.
“È una falsità”, replica lui, “La ripartizione dei reparti da collocare nell’ospedale di Noto e quello di Avola hanno due date ben precise, l’accordo di Palermo del 2002 e il report Agenas del 2010-inizio 2011. Il sottoscritto non aveva alcun ruolo politico all’epoca”.
Tutti gli atti che si sono succeduti in proposito, dice il sindaco, sono stati da lui contestati nelle sedi opportune e comunque non potevano affrontare il tema dei reparti da collocare nelle strutture, ma solo il numero dei posti letto. “Evidentemente qualcuno voleva mettere il sindaco contro i cittadini. Grazie a dio la mia comunità lo ha capito”, commenta.
“Siamo aperti al dialogo con i tecnici Asp per trovare una soluzione, fuori da ogni campanilismo. Bisogna rivedere tutto nel risparmio e nella logica delle erogazioni efficaci ed efficienti nel distretto sud”, dice infine il sindaco, “Se la Sicilia non sdogana la sanità dalla politica non potrà mai avere un risultato eccellente per il bene dei suoi concittadini”.
Lei pensa che i reparti torneranno?, gli chiediamo. “Devono tornare, non c’è altra soluzione”.
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