Mi vergogno di un’Italia assuefatta alla violenza e alle ingiustizie
Il commento di Fiorenza Loiacono, dopo il caso della nave attraccata a Salerno con a bordo i corpi senza vita di 26 migranti
Io, cittadina della Repubblica italiana, mi vergogno.
Mi vergogno per le navi che attraccano nei porti di questo paese portando carichi di cadaveri, solo ieri quelli di ventisei giovani donne. Mi vergogno per il silenzio delle istituzioni che non agiscono, o agiscono in senso contrario ai principi fondamentali della Costituzione su cui si fonda questo stato.
Una Costituzione nata dalla fatica e dal sangue, dal sacrificio di migliaia di uomini e donne, dalla disperazione dei deportati politici, “razziali”, militari, degli esiliati, dei confinati, di coloro che sono morti nelle carceri e per le torture di un regime ridicolo e stolto, che sulla violenza e sul consenso, sul sonno morale, ha edificato la sua forza.
Mi vergogno per i giornalisti che affermano che “ci fa onore” la sepoltura di quei corpi appartenenti ad esseri umani che in realtà non vengono salvati e intorno ai quali la rete del soccorso viene volutamente allentata. Allentata per decisione politica, a Roma, nelle stanze del ministero degli Interni.
Questa è la realtà, di fronte alla quale svaniscono le altre, create da indecorose affermazioni autocompiacenti e assolutorie. Mi vergogno di quella vergogna che Primo Levi vide delinearsi sui volti dei suoi liberatori: “la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa” (La tregua, Einaudi, 1963).
È la vergogna del silenzio, dell’impotenza e dell’indifferenza. Le istituzioni di questo stato, che ha voluto fondarsi sulla legge del riconoscimento e del rispetto dei diritti inviolabili degli esseri umani, perseverano in una catastrofica incapacità di agire, mancando il senso e lo scopo del loro compito, supportando il dispiegamento della violenza e della barbarie.
Perché occupare quei ruoli in modo così debole e inerme? Perché rendere quelle preziose posizioni di potere così insolventi all’adempimento dei principi costituzionali? Al momento del loro insediamento il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il governo Gentiloni hanno giurato fedeltà a una Costituzione che giorno dopo giorno viene drammaticamente disattesa. Passando di commemorazione in commemorazione, molti politici dimostrano di condannare il passato ma di non averlo profondamente capito.
Quando la scorsa settimana l’immagine di Anne Frank è stata vilipesa sugli spalti dello stadio Olimpico di Roma, il presidente della Repubblica ha giustamente tuonato, chiedendo un durissimo intervento del ministro Minniti.
Perché dunque non dire nulla anche in questa occasione? Sulla deposizione dei cadaveri nel porto di Salerno? Hanno mai compreso davvero gli eventi che ricordano, hanno mai coscienziosamente riflettuto sulle dinamiche dell’odio, della violenza all’interno delle comunità umane, che si nutrono di deumanizzazione, consenso e indifferenza?
Fino a discriminare e lasciare colare a picco gli esseri umani in base alla stirpe e al colore della pelle? Gli italiani si stanno abituando a sentire di migliaia di persone naufragate senza fare nulla, con tutti i pericoli che questo fenomeno comporta nella alterazione delle sensibilità e delle coscienze. Ci stiamo assuefacendo a tollerare livelli di violenza crescenti, soprattutto quando l’abominio è nascosto alla vista.
Perché avete istituito commemorazioni civili come il Giorno della Memoria? Affinché le giovani generazioni si baloccassero nella retorica? Perché imparassimo per finta? È da diciassette anni, dal 2000, che nelle scuole ascoltiamo lezioni sul genocidio di un popolo attraverso e con il concorso di quasi tutti gli Stati europei.
Abbiamo imparato e ora pretendiamo che si agisca di fronte al rinnovamento di una violenza che poggia sull’indifferenza ma anche sulla collusione di stato.
Questa è la nostra chance, questo è il tempo che ci è dato da vivere, non da sprecare in questa inazione e incapacità di vedere e provvedere alla comunità umana di cui si è parte, soprattutto quando è possibile.
Forse che questi morti in mare, questi cadaveri trasportati nei porti di questo paese non necessitano di indignazione e protesta, come invece non avvenne in quegli eventi passati? Di un’azione ferma, di provvedimenti che si oppongano al reiterarsi insopportabile di questo naufragio umano ed etico?
La politica non è contemplazione, ma azione, pratica, responsabilità per il rinnovamento del mondo, per rimettere in sesto il tempo e lasciarlo in consegna a chi verrà dopo, come sottolineava risolutamente Hannah Arendt, che nel 1940 era stata ella stessa profuga in fuga dalla Germania nazista.
È evidente che in Italia c’è un enorme problema da questo punto di vista. Si sente la mancanza di personalità che siano all’altezza del ruolo che la Costituzione esige.
Si sente la mancanza dell’esempio. Viene in mente un presidente della Repubblica come Sandro Pertini che non si disperdeva nel potere ma lo esercitava nel pieno rispetto delle sue funzioni, al servizio della cittadinanza e del bene comune. Un uomo che non restava in silenzio di fronte all’offesa e all’affronto.
Perché i soprusi li aveva conosciuti bene, patendoli sulla sua carne, e sfidava i capi di stato protestando con veemenza quando quei principi di giustizia e libertà per cui aveva combattuto e sui quali aveva giurato venivano infranti. Era molto amato dalla popolazione e molto scomodo negli ambienti governativi, perché era un presidente eticamente inflessibile. Aveva conosciuto la durezza dell’esilio e del carcere comminati da un sistema violento e vigliacco come il fascismo.
Un uomo che con la sua presenza e il suo ruolo si faceva portavoce dell’importanza, della strenua difesa dei diritti inalienabili di ogni essere umano, non solo dei cittadini italiani. Dov’è questa Italia nell’agone politico che conta? Perché non protegge e sostiene fermamente i principi che garantiscono il rispetto di tutti e di tutte?
Questi principi restano disattesi non perché non valgano di per sé ma perché molto spesso non vengono interiorizzati, capiti e difesi da chi va a ricoprire importanti incarichi istituzionali. Al massimo sono solo declamati in forma di slogan.
In questi ultimi anni è aumentato il livello di frustrazione e di aggressività di un’enorme parte della popolazione gravata da problemi di ordine soprattutto economico, ed è cresciuto il potere subdolo di chi la seduce dirigendo i suoi istinti più violenti dove è più comodo, cioè verso i più deboli, i più oppressi.
È lievitata anche l’attrattiva di chi promette che tutto cambierà in nome di un supposto rinnovamento “morale”. Come scriveva Piero Gobetti, invece, quando tale “rinnovamento” è senza contenuto, cioè calibrato prevalentemente su aspetti di facciata (come ad esempio le auto e gli stipendi), è in realtà profondamente immorale.
Si tratta di chiacchiere stucchevoli che non faranno altro che peggiorare la condizione dei cittadini, poiché ciò che manca davvero nelle menti di questi politici è la profondità della simpatia umana, del vero sentire con l’altro, come ai suoi tempi già accusava Antonio Gramsci.
La responsabilità politica di questo stato di cose è dunque anche e soprattutto di chi finora, pur avendone il potere, ha mancato di lavorare davvero per il bene comune, non favorendo il realizzarsi di un’esistenza dignitosa per moltissimi cittadini. Questa è la realtà, basta con gli inganni e gli autoinganni, basta con questa inerzia e incapacità di vedere che diventano pericolosa abitudine, per sé e per gli altri. La Repubblica italiana non sta tenendo fede al suo compito, continua a tradire se stessa attraverso la debolezza di coloro che dovrebbero rappresentarla.
Quei poveri corpi sono lì. Come è lì lo scontento di molti cittadini per la propria infelice condizione. Non indignarsi e non agire in difesa dei diritti fondamentali è mancare ai principi costituzionali dello stato italiano. Chi non è all’altezza del compito dovrebbe essere tenuto lontano, attraverso le elezioni, da ruoli coì importanti e significativi.
Perché il naufragio non riguarda solo gli “stranieri” ma in primis i cittadini di una Repubblica dalle basi sfumate e fragili perché mai rafforzate e rinnovate attraverso l’azione di una politica esemplare.