Le cause della morte di Stefano Cucchi
Morte Stefano Cucchi – Le cause – Il 22 ottobre 2009, dopo 7 giorni di custodia cautelare, moriva Stefano Cucchi, il geometra romano fermato dai carabinieri per detenzione di stupefacenti. La sua storia è al centro del film Netflix “Sulla mia pelle“, di Alessio Cremonini, con Alessandro Borghi.
(Qui la ricostruzione della storia giudiziaria di Cucchi e le date salienti).
Stefano Cucchi, dopo essere stato fermato dai carabinieri viene perquisito e trovato in possesso di 12 confezioni di hashish (per un totale di 21 grammi), tre confezioni di cocaina e una pasticca di un medicinale per l’epilessia, di cui soffriva.
Viene immediatamente portato alla Stazione dei Carabinieri e posto in custodia cautelare. Il giorno dopo viene processato con rito direttissimo. Già durante il processo ha difficoltà a camminare e a parlare e mostra inoltre evidenti ematomi agli occhi.
Il ragazzo non dice di essere stato picchiato. Dopo il processo il giudice stabilisce che Cucchi rimanga in custodia cautelare il carcere al Regina Coeli, in attesa dell’udienza che si sarebbe dovuta tenere il mese successivo, a novembre 2009.
Nei giorni successivi al processo le condizioni di Cucchi peggiorano ulteriormente. Dal carcere viene trasferito all’ospedale Fatebenefratelli, e lì vengono refertate lesioni ed ecchimosi a gambe e visto, una frattura della mascella, un’emorragia alla vescica e al torace e due fratture alle vertebre. Viene chiesto il ricovero ma Cucchi non dà il consenso. Tornato in carcere, continua a peggiorare. Il ragazzo morirà il 22 ottobre 2009 all’ospedale Sandro Pertini. Al momento della morte pesa 37 chilogrammi. La sua famiglia, nei 7 giorni dopo il processo tentano di vedere il figlio e di conoscerne le condizioni di salute ma senza alcun successo. I genitori apprendono della morte soltanto all’atto di notifica dei carabinieri per autorizzare l’autopsia.
Ad oggi, settembre 2018, non sono ancora state stabilite con certezza le cause della morte di Stefano Cucchi.
Tante le ipotesi avanzate all’inizio: abuso di droga, pregresse condizioni fisiche, il rifiuto del ricovero al Fatebenefratelli, l’anoressia. Carabinieri e personale del carcere negano di aver usato violenza nei suoi confronti.
Nel frattempo vengono rese pubbliche dalla famiglia le ormai tristemente note foto del corpo del giovane durante l’autopsia, in cui si vedono chiaramente i traumi subiti, i lividi, il voto tumefatto, la mascella fratturata e la sua denutrizione in stato avanzato.
Alcuni testimoni, detenuti insieme a Cucchi dichiarano che il ragazzo aveva raccontato di essere stato picchiato, e un’altra donna, Silvana Cappuccio, racconta di avere visto personalmente gli agenti di polizia penitenziaria picchiare Cucchi.
Secondo le indagini preliminari le cause della morte sono da imputare alla mancata assistenza medica a fronte di una ipoglicemia e di traumi diffusi. Si sono riscontrate inoltre alterazioni al fegato, ostruzione della vescica e compressione del torace.
Sempre stando alle indagini, gli agenti di polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici avrebbero picchiato il ragazzo con calci e pugni nella cella di sicurezza del tribunale di Roma, prima dell’udienza di convalida dell’arresto, il 16 ottobre.
Vennero indagati inoltre tre medici del reparto di Medicina Protetta dell’ospedale Sandro Pertini: Aldo Fierro (primario), Stefania Corbi e Rosita Caponnetti, per non essersi occupati di curare il giovane. Il 14 novembre 2009 la procura di Roma contesta il reato di omicidio colposo a carico dei tre medici dell’ospedale Pertini e quello di omicidio preterintenzionale ai tre agenti di polizia penitenziaria.
Il 27 novembre 2009 una commissione parlamentare d’inchiesta conclude che Stefano Cucchi è morto per abbandono terapeutico.
Nell’aprile 2010 la procura di Roma contesta ai medici del Pertini il favoreggiamento, l’abbandono di incapace, l’abuso d’ufficio e il falso ideologico e agli agenti della polizia penitenziaria invece lesioni e abuso di autorità.
Il 5 giugno 2013 la III Corte d’Assise di Roma condanna in primo grado quattro medici dell’ospedale Sandro Pertini di Roma a 1 anno e 4 mesi e il primario a 2 anni di reclusione per omicidio colposo (con pena sospesa), un medico a 8 mesi per falso ideologico, mentre assolve 6 tra infermieri e guardie penitenziarie, i quali, secondo i giudici, non avrebbero in alcun modo contribuito alla morte di Cucchi.
Il 31 ottobre 2014, con sentenza della Corte d’appello di Roma, vengono assolti tutti gli imputati, fra cui i medici.
Il legale della famiglia Cucchi preannuncia un ricorso alla Corte di Cassazione. La Cassazione nell’udienza pubblica del 15 dicembre 2015, dispone il parziale annullamento della sentenza di appello, ordinando un nuovo processo per 5 dei 6 medici dell’Ospedale Pertini, precedentemente assolti. Secondo la sentenza, lo stato di salute del ragazzo avrebbe dovuto imporre maggiore attenzione da parte dei medici.
Il 18 luglio 2016, al termine del secondo processo d’appello disposto dalla Cassazione, la Corte d’Appello di Roma assolve i 5 medici perché “il fatto non sussiste”.
Su espressa richiesta dei familiari, nel settembre 2015 la Procura della Repubblica di Roma riapre un fascicolo d’indagine, in particolare nei confronti dei carabinieri presenti nelle due caserme dove è avvenuta l’identificazione e poi la custodia in camera di sicurezza di Stefano Cucchi, tra la sera del 15 e la mattina del 16 ottobre 2009.
Il 17 gennaio 2017, alla conclusione delle indagini preliminari, viene chiesto il rinvio a giudizio per omicidio preterintenzionale e abuso di autorità nei confronti dei militari dell’arma Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, accusati di aver colpito Cucchi con schiaffi, pugni e calci, facendolo cadere e procurandogli lesioni divenute mortali per una successiva condotta omissiva da parte dei medici curanti.
Il 24 febbraio 2017 i tre carabinieri vengono sospesi dal servizio. A luglio 2017 la procura di Roma chiede il rinvio a giudizio di cinque carabinieri. Per tre di loro l’accusa è di omicidio preterintenzionale. Ad altri due carabinieri sono stati contestati i reati di calunnia e falso.