Processo Ruby, morta la testimone chiave Imane Fadil che svelò il Bunga bunga, si sospetta avvelenamento
È morta Imane Fadil, testimone chiave nel processo Ruby. La donna è morta il 1 marzo, dopo essere stata ricoverata un mese all’ospedale Humanitas di Milano. La notizia è trapelata soltanto oggi, 15 marzo.
A darne notizia è stato il procuratore Francesco Greco, che ha comunicato anche l’apertura di una indagine. Prima di morire, Fadil ha confidato a chi le stava vicino di temere di essere stata avvelenata. È stata disposta l’autopsia.
Imane Fadil è morta per un”mix di sostanze radioattive”, secondo quanto rivelano gli esami tossicologici
La donna stava scrivendo un libro e ora la procura indagherà sulle bozze per capire se quanto stava scrivendo possa avere a che fare con la sua morte.
La procura ha aperto l’inchiesta con l’ipotesi di reato di omicidio e sta indagando sull’ipotesi di avvelenamento.
La donna era stata ricoverata all’ospedale Humanitas di Milano il 29 gennaio 2019.
Il procuratore Greco ha definito “un calvario” il mese trascorso dalla modella in ospedale. Nella cartella clinica “c’erano diverse anomalie”, ha detto Greco.
Imane Fadil e il suo coinvolgimento nel caso Bunga bunga
Imane Fadil, modella di origine marocchina, aveva poco più di 25 anni quando fu invitata per la prima volta ad Arcore, a casa di Berlusconi. Era il 2011.
Come ha poi raccontato durante le udienze in aula la giovane ha partecipato a otto “cene eleganti”. Ritenuta una delle testimoni chiave del processo Ruby, si è poi costituita parte civile nel processo Ruby bis e Ruby ter. Fu lei a raccontare degli spogliarelli, dei palpeggiamenti e a svelare nei dettagli in cosa consisteva il Bunga Bunga.
Rimasta “sconvolta” per quanto accadde una sera, uscì da Arcore e dopo alcuni giorni si recò in procura per raccontare e denunciare tutto. Da lì partì lo scandalo.
In particolare le parole della modella portarono gli inquirenti a indagare su Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti. Furono loro, secondo la sua accusa, a indurla a partecipare alle cene ad Arcore.
Imane Fadil e il processo per diffamazione aggravata a Emilio Fede
Recentemente la Corte d’Appello di Torino ha pronunciato una sentenza di non doversi procedere nei confronti di Emilio Fede, imputato per diffamazione aggravata ai danni proprio di Imane Fadil. In primo grado, nel novembre del 2013, l’ex direttore del Tg4 era stato condannato al pagamento di 10mila euro di multa e di 40mila euro di risarcimento provvisionale.
Era accusato di avere offeso Fadil per avere detto durante il telegiornale da lui condotto: “Direi che bisognerebbe arrestarla una che fa questo in cambio di soldi, cioè che in cambio di soldi racconta falsità pericolose”.
Il verdetto è stato ribaltato perché i giudici hanno accolto un’eccezione di procedibilità relativa alla mancata procura speciale del legale che aveva presentato la querela contro di lui. Il 9 agosto del 2011, Fadil era andata dai pm di Milano a raccontare la sua versione sulle serate ad Arcore.
Nell’edizione del suo tg del 17 settembre 2011, Fede commentò la notizia raccontando di averla incontrata in un ristorante e che, in quell’occasione, la ragazza gli avrebbe chiesto dei soldi per non rilasciare interviste a giornali e trasmissioni televisive.
Anche in primo grado, riferisce l’avvocato Andrea Righi, legale di Fede, era stata presentata la stessa eccezione di improcedibilità che però non era stata accolta.
In diverse interviste raccontò poi il dramma vissuto dopo aver denunciato lo scandalo. “Non riuscivo neanche a uscire di casa, mi è stata fatta terra bruciata intorno: la gente pensava fossi una prostituta, ho perso gli amici e quei pochi lavoretti che avevo, come fare l’hostess. Ho vissuto un periodo di forte depressione, piangevo sempre, ho anche perso i capelli a causa del forte stress”.