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Mode alimentari: “Ho visto figli di crudisti arrivare in ospedale in fin di vita”, parla un medico del Gemelli di Roma

Immagine di copertina
Saltare i pasti e privarsi del cibo per periodi prolungati è dannoso per il corpo umano

Lucio Rinaldi, psichiatra e responsabile area per disturbi alimentari del Policlinico Gemelli di Roma, spiega a TPI quale sia la potenziale deriva per chi decide di seguire "stili di vita" o mode alimentari ispirate a filosofie come quelle dei "respiriani"

“Visioni estreme come quelle di coloro che si professano ‘respiriani’ possono essere incluse nell’area dell’ortoressia, ossia quel disturbo alimentare in cui c’è una selezione dei cibi sulla base di convinzioni che un alimento faccia bene e uno faccia male, o che solamente alcuni alimenti possano favorire uno sviluppo della persona”. 

Lucio Rinaldi, psichiatra e responsabile area per disturbi alimentari del Policlinico Gemelli di Roma, spiega a TPI quale sia la potenziale deriva per chi decide di seguire “stili di vita” o mode alimentari ispirate a filosofie come quelle dei “respiriani”, il gruppo di persone che sostengono sia possibile vivere mesi, o addirittura anni, con minimi o nulli livelli di cibo e acqua.

In questo articolo avevamo intervistato uno dei maggiori diffusori di questo pensiero. 

“Il cibo viene vissuto come un elemento persecutorio, un nemico, riuscire a sottrarsi a questo bisogno con digiuni prolungati significa affermare una forza della mente sul corpo e in qualche modo riuscire ad affermarsi, a sentirsi più forte rispetto a quello che invece è un elemento che dovrebbe far parte del vivere. Questo accade anche in alcune forme di anoressia”, spiega il dottor Rinaldi.

Nonostante l'”alimentazione pranica” dei respiriani sia “venduta” come una filosofia e uno stile di vita, basta eliminare l’elemento spirituale, per accorgersi che possono nascondersi altre motivazione dietro la scelta di non mangiare e bere per molto tempo.

“Questa idea del non bere e non mangiare vuole in qualche modo recuperare un controllo rispetto al senso di impotenza tipico dell’uomo che deve occuparsi del corpo. “Se riesco ad annullare il corpo e i suoi bisogni c’è una vittoria della mente sul corpo’, credono alcuni.

“Io non ho bisogno di mangiare e di bere, anzi, questo mi unisce a una dimensione propria di un livello superiore. Si aspira a una visione trascendente’: il controllo del cibo dà un senso di padronanza assoluta”, spiega ancora Rinaldi. 

“Siamo di fronte a generazioni dove viene esaltato questo non bisogno del cibo e ciò costituisce per gli adolescenti un modello di identificazione molto pericoloso, gli adolescenti trovano questi riferimenti identitari in tutto ciò che la società fornisce. All’interno di questa dinamica psicologica va inquadrata la prospettiva di questi respiriani, come un’identità gruppale in cui appunto riconoscersi”.

Il dottor Rinaldi avverte e specifica: “Ho visto figli di crudisti arrivare qui in fin di vita, in condizioni gravissime. Queste mode hanno delle implicazioni, soprattutto quando i genitori assumono questa ideologia che per alcuni aspetti è vicina al delirio”.

Come spiega Lucio Rinaldi, che al Policlinico di Roma porta avanti moltissime iniziative tese proprio ad aiutare le persone con disturbi alimentari, “La relazione col cibo individua il rapporto dalla persona con l’ambiente fin dalle prime fasi di vita”.

“Il cibo diventa uno strumento che caratterizza e dispiega la relazione con il mondo esterno. Nelle varie fasi della vita ritorna come elemento importante, specialmente durante quelle di urgenza emotiva: succede spesso che bambini in difficoltà riducano l’apporto alimentare. L’alimentazione diventa una strada di un disagio e di una comunicazione di un disagio”.

Questo tema del rapporto col cibo riprende vigore in adolescenza, dove il fattore alimentare si iscrive nelle vicende del corpo e dell’identità corporea, anche per assumere forme vincenti, nello stesso tempo può diventare elemento di forza: chi riesce ad avere il controllo sul corpo vive un’esperienza di forza e di potenza. Questa dinamica si presenta anche come sintomo delle prime fasi dell’anoressia”, racconta Rinaldi.

Una ragazza adolescente cerca nel controllo del cibo e dell’alimentazione un elemento di forza e poi lo trova realmente nelle prime fasi dell’anoressia. Col tempo diventando un meccanismo dal quale non si può più uscire subentrano sentimenti di sconforto e tutte le declinazioni da mancanza di autostima e le declinazioni del disturbo.

Nelle fasi prodromiche si acquista forza col pensiero: “non mangio, dimagrisco, ho il controllo del corpo”.

I rischi per il corpo umano

Esistono molti articoli scientifici che spiegano quanto saltare i pasti e privarsi del cibo per periodi prolungati sia dannoso per il corpo umano.

Già a distanza di sei ore dall’ultimo pasto il corpo comincia a fare ricorso al glicogeno, ovvero alle molecole che immagazzinano energia. In questa fase viene prodotto glucosio, ovvero una molecola che viene utilizzata come fonte principale di energia e assorbita nel flusso sanguigno. 

In un normale stato di alimentazione, il glucosio viene quindi utilizzato come fonte di energia primaria, permettendoci di avvertire la sensazione di sazietà. A distanza di sei ore dal pasto, il glucosio non ci da più energie, ed iniziamo ad avvertire la comune sensazione di fame.

Dopo 3 giorni di digiuno, la riserva di glucosio sarà praticamente quasi esaurita, per cui non solo ci sentiremo affamati, ma il nostro corpo comincerà ad entrare in uno stato di chetosi, uno stato che comporta elevati livelli di corpi chetonici nel sistema corpi chetonici verranno utilizzati dal cervello come principale fonte di carburante.

Se il digiuno si protrae per più di 72 ore, si entra nella cosiddetta fase di autofagia, fase durante la quale il corpo consuma i materiali di riserva dell’organismo, e che comporta un progressivo deperimento dei muscoli.

“A noi si impone di fare una sorta di TSO (trattamento sanitario obbligatorio) quando siamo di fronte a una persona che non si alimenta. Dobbiamo forzarla e dichiararla non in grado di intendere e di volere”, racconta Rinaldi. 

“I respiriani possono descrivere questo bisogno di non bere e non mangiare, ma quando vediamo le ragazze anoressiche in condizioni gravissime io dubito che si possa realmente sopravvivere in questa condizione. Una cosa è dire io sono respiriano, una cosa è esserlo”, conclude Rinaldi. 

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