Lontano dagli occhi
Le misure dell'Ue forse diminuiranno gli incidenti nel Mediterraneo, ma i migranti continueranno a morire, abbandonati nel deserto. Il commento di Laura Stahnke
In seguito agli incidenti delle scorse settimane, che hanno registrato più di 1.300 morti nel Mar Mediterraneo, giovedì 23 aprile si è tenuto un vertice europeo d’emergenza per delineare le linee d’azione a livello europeo per quel che riguarda la gestione dell’immigrazione.
Una delle misure che verrà presa dall’Unione Europea per limitare il numero di morti in mare sarà quello di aumentare considerevolmente il budget dedicato a Triton, il progetto coordinato dall’Unione Europea volto al pattugliamento marittimo delle coste, che è stato impegnato in azioni di salvataggio in mare.
Nonostante un maggior impegno nel finanziamento dell’operazione, osservatori internazionali quali Amnesty International hanno criticato la portata di questa misura: i pattugliamenti non si spingeranno infatti oltre le 30 miglia dalle coste italiane, e lasceranno quindi scoperte le acque internazionali.
Inoltre, si è parlato di una distribuzione dei richiedenti asilo tra i diversi stati membri dell’Europa, cercando quindi una soluzione per andare oltre il trattato di Dublino, per cui un migrante deve svolgere la pratica di richiesta d’asilo nel primo Paese in cui vengono registrate le sue impronte digitali.
É in seguito a questo trattato che Paesi come Spagna, Italia e Grecia hanno ricevuto numeri di richieste di asilo di gran lunga superiori ad altri stati dell’Unione.
Come era già stato accennato nell’incontro di lunedì 20, è stata confermata l’intenzione di contrastare trafficanti e scafisti, spesso visti come una delle cause principali delle morti nel Mediterraneo.
Inoltre, molta attenzione è stata dedicata all’idea di supportare Paesi di transito del nord Africa e del medio oriente affinché si incarichino di contenere i flussi migratori verso l’Europa.
Questa non è la prima volta che l’Unione Europea decide di affidare agli stati confinanti l’incarico di sorvegliare i propri confini.
Per anni la Libia è stato un partner fidato dell’Italia nel contenere l’immigrazione che passava attraverso il proprio territorio, in cambio di accordi privilegiati tra il governo libico e quello italiano, nella compravendita di gas e petrolio.
Ma da quando la Libia non ha più un governo riconosciuto dall’Unione Europea, è diventato impossibile stringere accordi sul contenimento dell’immigrazione.
Come la Libia, anche Tunisia, Egitto, Marocco, Turchia e Ucraina hanno ricevuto e continuano tuttora e ricevere finanziamenti e indicazioni precisi da parte dell’Unione Europea al fine di contenere l’immigrazione che passa attraverso i propri territori.
Il modo in cui questo è stato fatto ha spesso compreso la costruzione di centri di detenzione in cui migliaia di migranti sono stati rinchiusi con la sola accusa di essere in cammino verso l’Europa.
Molti sono stati messi in container e abbandonati in mezzo al Sahara. In migliaia sono stati torturati, stuprati e uccisi da forze di polizia finanziate dall’Unione Europea, affinché non si spingessero oltre il Mediterraneo.
Le condizioni disumane all’interno dei centri di detenzione sono state a più riprese denunciate da osservatori internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch.
Ciononostante, molti di questi centri sono ancora funzionanti e rinchiudono al loro interno migliaia di persone il cui crimine è l’essere migranti.
Se l’Europa destinerà ulteriori finanziamenti al contenimento dell’immigrazione nei Paesi di transito del nord Africa e del medio oriente, forse riuscirà nel suo intento di diminuire il numero di incidenti nel Mediterraneo.
I morti non galleggeranno più in mare, ma verranno abbandonati nel deserto, lontano dalla vista dei cittadini europei e dalle prime pagine dei giornali.