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Come interpretare bene i numeri

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Ogni giorno siamo invasi da dati, cifre, rapporti. Non sempre fattuali, però. Qualche accorgimento per vederci chiaro

Ogni giorno Istat, centri di ricerca e organizzazioni internazionali ci forniscono dati e statistiche sui fenomeni più svariati di attualità.

Capita spesso di perdersi in mezzo a montagne di dati. Ma qualche accorgimento può evitare di influenzare dai tagli soggettivi dei media.

Un primo passo consiste nel fare attenzione a distinguere dati assoluti e dati relativi. Le statistiche sugli aiuti allo sviluppo ne sono un esempio.

Gli Stati Uniti vengono spesso descritti come un modello per la comunità internazionale: con 31,55 miliardi di dollari all’anno, sono i maggiori donatori di aiuti allo sviluppo.

Tuttavia, in termini relativi, la generosità americana si rivela poca cosa in confronto agli altri stati europei. Gli Usa donano solo lo 0,19 per cento della loro ricchezza prodotta, mentre Norvegia, Danimarca e Lussemburgo superano l’1 per cento.

Tra tutti i Paesi occidentali, gli Stati Uniti sono la nazione che contribuisce maggiormente in termini assoluti, ma tra i più avari in termini relativi.

Un secondo tipo di manipolazione può avere luogo attraverso la lettura di dati parziali assunti come totali, come testimoniano le elezioni politiche italiane del 2013.

Il Movimento 5 Stelle ha spesso affermato di essere “il primo partito in Italia” con 8.689.458 voti, contro i 8.644.523 del Partito Democratico.

Ma i dati completi – che sommano ai dati delle regioni italiane i voti esteri, che non si vede perché dovrebbero essere estromessi dal conto – fanno del Pd il primo partito con 8.932.615 voti contro gli 8.784.499 del M5S.

Una terza fonte di confusione in termini di lettura di dati consiste nel denunciare un nesso causale tra due fenomeni distinti avendo come unica prova la loro correlazione statistica.

Se all’aumentare o diminuire di un primo fenomeno, un secondo fenomeno presenta modifiche speculari, allora i due vengono presentati come connessi. In realtà non è così semplice.

Tyler Vigen, dottorando ad Harvard, ha pubblicato uno studio su una serie di fenomeni evidentemente non in relazione tra loro ma che presentano altissimi tassi di correlazione.

Osservando i dati, Tyler mostra come tra il tasso di divorzi nello stato americano del Maine e il consumo statunitense di margarina esista una corrispondenza del 99 per cento, e come tra la produzione americana di miele e gli arresti di giovani per possesso di marijuana ci sia un tasso di simmetria del 93 per cento.

Tuttavia è chiaro che tra questi fenomeni non sussista alcun rapporto di causa-effetto.

Ad ogni modo, pur prestando attenzione, il grande pubblico rimane in buona parte dipendente dalla selezione di notizie raccolta dagli organi di stampa. Può ad esempio capitare che, a fronte di una diminuzione della frequenza di un dato evento, le ore dedicate dai telegiornali anziché ridursi, aumentino.

Nel documentario Bowling for Columbine, Michael Moore, chiedendosi da dove derivi la percezione di paura e vulnerabilità che spinge milioni di americani ad avere un’arma da fuoco in casa, afferma che negli ultimi anni a fronte di una diminuzione del 20 per cento di omicidi in America, la copertura mediatica di questi stessi omicidi è salita del 600 per cento.

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