L’avvocato di due condannati di Mafia Capitale a TPI: “I miei assistiti non sono mafiosi, sentenza esagerata frutto di pressione mediatica”
Fabrizio Gallo difende Roberto Lacopo e Matteo Calvio, condannati a otto e dieci anni: "Rispetto a un processo di mafia, è un processetto"
Una sentenza frutto di pressione mediatica e politica. Così l’avvocato Fabrizio Gallo commenta a TPI le condanne dei suoi due assistiti, Roberto Lacopo e Matteo Calvio, nell’ambito del processo di Mondo di mezzo: otto anni per il primo, dieci per il secondo. Pronti a fare ricorso in Cassazione.
Non si aspettava una sentenza del genere, l’avvocato Gallo. La sentenza ha ribaltato il primo grado riconscendo il 416bisal gruppo di Massimo Carminati. “Quella di primo grado era fatta già molto bene. Ci aspettavamo una diminuzione delle pene. A uno dei miei assistiti hanno aumentato la pena e all’altro l’hanno lasciata uguale”.
Galli difende Roberto Lacopo, il gestore della pompa di benzina in corso Francia in cui si tenevano gli incontri del “Cecato”. A lui sono stati confermati gli otto anni di reclusione, come in primo grado, ma con la riqualificazione del reato con il 416bis. Gli sono state invece riconosciute le attenuanti generiche, negate in primo grado.
Anche a Matteo Calvio, conosciuto alle cronache come “spezzapollici”, è stato riconosciuto il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso. Calvio è l’uomo filmato dalle videocamere del Ros mentre, seduto al distributore di Corso Francia, quello di Lacopo, minaccia al telefono un imprenditore che deve pagare un debito.
Calvio, spiega l’avvocato, è passato da nove anni a dieci anni e quattro mesi. A lui non hanno riconosciuto le attenuanti, perché “aveva un altro precedente”.
Il riconoscimento del reato associativo di tipo mafioso “per noi è una cosa seria, grave, perché è preclusiva di qualsiasi beneficio che può ottenere un condannato per un reato comune”.
Gli anni di carcere dovranno essere scontati tutti, non ci sono semilibertà, non ci sono misure alternative. “E soprattutto – continua Gallo – c’è il riconoscimento di una mafia che non c’era”.
“Il mio assistito (Lacopo, ndr) non mi pare fosse un mafioso o che usasse l’intimidazione nei confronti delle vittime”. Anche perché, continua ancora Gallo, “non mi pare che questi abbiano pagato i debiti che avevano con Lacopo, per esempio”.
Quindi l’intimidazione di cui parlano i giudici, per Gallo non è mai stata esercitata. “L’assoggettamento non c’era, perché se queste persone avessero subito l’intimidazione che mettono in atto i veri mafiosi sicuramente avrebbero pagato”.
“E invece nessuna delle due vittime di cui Lacopo è imputato per aver chiesto del denaro ha restituito i soldi”, giustifica Gallo.
Una sentenza esagerata per l’avvocato. “Nella sentenza di primo grado il giudice aveva stabilito nell’iter processuale che abbiamo fatto, sentendo le parti offese in diretta in tribunale, ci fosse una associazione a delinquere che però non avesse la forza di una associazione a delinquere di stampo mafioso”.
Se queste erano le motivazioni della sentenza di primo grado, “ora aspettiamo quelle del secondo grado per capire come hanno aggirato l’ostacolo”, continua Gallo, “e come sono riusciti a riqualificare un reato in 416bis, quindi in associazione di stampo mafioso”.
“C’è stata una pressione mediatica, forse anche politica”, commenta il difensore di Calvio e Lacopo.
Parole, queste, che ricordano la posizione di un altro avvocato di Mafia Capitale, quel Giosuè Naso che difende proprio il “Cecato”, e che che, anche di fronte all’ultima sentenza, non ha esitato a ritenere il procedimento in corso un “processetto influenzato”.
“In un processo serio di mafia, e ne faccio tanti, ci sono omicidi, tentati omicidi, estorsioni, armi, droga. Qui non c’è nulla di tutto questo”, ha continuato il difensore di Lacopo e Calvio. Quindi “rispetto a un processo di mafia, è un processetto”.
“È un processo mediatico. Il 416bis non è stato dato ai Fasciani, alla Banda della Magliana. E quest’ultimo era un processo dove c’erano armi, droga, omicidi. Invece l’hanno riconosciuto in questo, dove c’era qualche mazzetta, perché è uscito fuori, e qualche reato amministrativo, come concussioni e turbativa d’asta”, attribuibili ai colletti bianchi. “Però i miei non hanno avuto nessun ruolo, non hanno mai conosciuto Buzzi né Gramazio”.
Nella sentenza di primo grado erano state riconosciute due associazioni distinte, proprio “perché non si conoscevano”, spiega l’avvocato. Mondo di sopra e mondo di sotto: da una parte il mondo di sopra, quello di Buzzi e i colletti bianchi, dall’altro il mondo di sotto, quello delle estorsioni e delle intimidazioni.
“Alla fine – continua Gallo – hanno dato riconosciuto il reato di associazione di tipo mafiosomettendo tutti nel calderone, dove i miei hanno fornito la prova che non c’era collegamento tra gli episodi amministrativi, di peculato ecc, e gli episodi di estorsioni. Non so come abbiano fatto. Infatti la curiosità nostra ora è leggere le motivazioni”.
La preoccupazione più grande per Gallo è che ora i suoi due assistiti rischino di finire in cella. “Tutti quelli che erano stati messi in libertà dalla sentenza di primo grado potrebbero essere arrestati di nuovo. Il reato del 416bis non prevede misure alternative al carcere. Chi è ai domiciliari, come chi è libero, andrà in carcere”.
Lacopo e Calvio, uno libero e uno ai domiciliari, ora temono di finire in carcere. “La gravità maggiore è essere additato come soggetto mafioso e rischiare un’altra volta il carcere e il 41bis”.
I due assistiti di Gallo sono liberi dal luglio del 2017, quando la sentenza di primo grado del processo di Mondo di Mezzo riconosceva per gli imputati l’associazione a delinquere, senza il reato associativo di tipo mafioso.
“Oggi pomeriggio il procuratore generale può fare la richiesta e stasera li arrestano. Speriamo che attendano le motivazioni. In modo che se dovessero riconoscere loro la pericolosità sociale potrebbero decidere se arrestarli. Però la preoccupazione c’è”, chiosa Gallo.