Lettera di un “nuovo” italiano sullo ius soli
La lettera aperta sullo ius soli di Samir Bastajib, un giovane studente di medicina nato ad Aosta e diventato cittadino italiano 12 anni fa, quando i suoi genitori, di origine marocchina, hanno ottenuto la cittadinanza
Caro italiano,
mi chiamo Samir, e, nella speranza che la mia penna scialba e farraginosa non t’uccida di noia sin dal principio, ti scrivo quest’oggi per esternare una manciata di riflessioni riguardo al tanto vituperato disegno di legge sulla cittadinanza, tuttora in discussione a Palazzo Madama.
Benché il mio nome esotico rimandi a oltre le colonne d’Ercole, laddove un tempo – per i più – erant leones, sono nato nella pittoresca e ridente Valle d’Aosta, giacché i miei genitori abbandonarono i caldi lidi del Marocco venticinque anni or sono per trasferirsi nel Bel paese in cerca di fortuna.
Per quanto il legame affettivo con il mio paese d’origine sia oramai indissolubile, i luoghi che han rapito il mio cuore si trovano tutti nello stivale. Sono infatti divenuto adulto percorrendo la Valle Oscura assieme al Sommo Poeta, contemplando l’ermo colle seduto di fianco al Giovane Favoloso di Recanati, sostando alla Taverna dei Destini Incrociati gestita dal vecchio Italo Calvino, finendo dunque per innamorarmi follemente d’una meravigliosa cultura che ora ritengo mia.
Eppure, a dispetto di quest’amore incondizionato, non sono formalmente italiano che da una dozzina d’anni, ossia da quando i miei genitori hanno ottenuto e poi trasmessomi la cittadinanza italiana per mezzo del macchinoso e bizantino iter burocratico che la legge prevede. Il fato, o meglio, gli angusti meandri del diritto nostrano, m’hanno pertanto concesso il vanto di nascere in Italia, ma non il privilegio di nascere italiano.
Correntemente, infatti, la cittadinanza italiana – salvo infrequenti eccezioni – viene trasmessa al figlio dai genitori secondo il principio del cosiddetto ius sanguinis. Questo comporta, di conseguenza, che chi, come il sottoscritto, nasce sul suolo italiano da genitori stranieri – a meno che questi non l’acquisiscano prima e gliela trasmettano – sia costretto ad attendere la maggiore età per richiederla e divenire de iure ciò che è sempre stato de facto. Se questa legge venisse promulgata, il paese aprirebbe invece i propri orizzonti ai principi dello ius soli e dello ius culturae, che consentirebbero a chi vi nasce o vi giunge in tenera età e vi studia d’entrare immediatamente nella corposa frotta di “italiani dell’ultima ora”.
Muovendo ora l’obiettivo su quel raffinato marasma che è la politica italiana, chiamata in questi giorni a compiere quella che io reputo una scelta di civiltà, m’immalinconisco. Non è un segreto che il disegno di legge, approvato a Montecitorio sul finire del 2015, sia saltato agli onori di cronaca solo recentemente in seguito al farsesco veto posto dai soliti partiti di (più o meno) estrema destra.
La ragione della mia mestizia risiede non tanto nella posizione di chi strenuamente s’oppone allo ius soli, quanto nel tenore della discussione, che ha tristemente spiegato le vele verso il mare burrascoso del pragmatismo. Fra chi senza vergogna parla di islamizzazione, e chi addita gli extracomunitari di mero utilitarismo, le alte sfere si son perse nell’enumerare una sterminata sequela di vantaggi e svantaggi concreti cagionati dall’avere o meno la cittadinanza italiana, dimenticando d’allargare l’inquadratura sino a porsi la domanda più importante: che cosa significa essere cittadini italiani? E prim’ancora, che cos’è la cittadinanza, un grigio mezzo di coesione sociale o un alto ideale?
Sono certo del fatto, in questa mia manchevole e salottiera riflessione, che se i governanti riscoprissero la profondità d’analisi e di pensiero (soppiantate, ahinoi, da frasi fatte e multimedialità) che han reso illustre la nostra nazione nel corso del secolo breve, si giungerebbe presto alla conclusione che l’italianità risiede, tout simplement, nel decidere lucidamente di identificarsi negli ideali di giustizia e uguaglianza sanciti dalla nostra meravigliosa costituzione.
E che non la si può negare celandosi dietro al muro della diffidenza destinato, come quello di Berlino, a crollare sommerso dal peso della propria inadeguatezza.
Samir Bastajib
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