La lettera del comandante dei Carabinieri alla famiglia di Stefano Cucchi: “Abbiamo la vostra stessa impazienza”
La verità sul caso Cucchi è ancora più nitida e vicina dopo la confessione di Francesco Tedesco, uno dei carabinieri imputati nel lungo processo relativo al pestaggio e alla morte del giovane romano all’ospedale Sandro Pertini della Capitale.
Tedesco ha infatti accusato i due colleghi, Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo, di aver percosso Stefano Cucchi e rivelato l’esistenza di una nota, scritta da lui stesso, in cui raccontava quanto accaduto quella notte dell’11 ottobre 2009.
Finalmente la famiglia di Cucchi, compresa la sorella Ilaria che in tutto questo tempo ha portato avanti la dura battaglia per l’individuazione dei responsabili di quel presunto brutale pestaggio, ha potuto ascoltare “una verità che arriva dopo 10 anni” nell’aula della Corte d’Assise.
A seguito delle nuove conferme di depistaggi compiute dall’Arma dei Carabinieri, è attesa la deposizione del comandante generale Giovanni Nistri, il quale ha annunciato che l’Arma si costituirà parte lesa nell’eventuale processo a carico di otto carabinieri. Ilaria Cucchi, commentando l’annuncio del comandante Nistri, ha detto che la verità raccontata e le intenzioni dell’Arma “dopo dieci anni ci fanno sentire finalmente meno soli”.
Lo stesso Nistri ha di recente scritto una lunga lettera alla famiglia di Stefano: la lettera, datata 11 marzo 2019 e consegnata direttamente nelle mani di Ilaria Cucchi da Roberto Riccardi, il portavoce del comandante generale, è stata acquisita da Repubblica che ne ha pubblicato il testo integrale:
Gentile Signora Cucchi,
ho letto con grande attenzione la lettera aperta che ha pubblicato sul suo profilo Facebook. Sabato scorso a Firenze, nel rispondere alla domanda di un giornalista, pesavo a Voi e alla Vostra sofferenza, che ho richiamato anche nel nostro ultimo incontro. Pensavo alla Vostra lunga attesa per conoscere la verità e ottenere giustizia. Mi creda, e se lo ritiene lo dica ai Suoi genitori, abbiamo la vostra stessa impazienza che su ogni aspetto della morte di Suo fratello si faccia piena luce e che ci siano infine le condizioni per adottare i conseguenti provvedimenti verso chi sia mancato ai propri doveri e al giuramento di fedeltà.
La abbiamo perché il Vostro lutto ci addolora da persone, da cittadini, nel mio caso mi consenta di aggiungere: da padre. Lo abbiamo perché anche noi – la stragrande maggioranza dei Carabinieri, come Lei stessa ha più volte riconosciuto, e di ciò la ringrazio – crediamo nella Giustizia e riteniamo doveroso che ogni singola responsabilità nella tragica fine di un giovane sia chiarita, e lo sia nella sede opportuna, un’aula giudiziaria.
Proprio il rispetto assoluto della Legge ci costringe ad attendere la definizione della vicenda penale. Non possiamo fare diversamente perché, come vuole la Costituzione, la responsabilità penale è personale. Per questo abbiamo bisogno che sia accertato esattamente, dai giudici, “chi” ha fatto “che cosa”. Nell’episodio riprovevole delle studentesse di Firenze il contesto era definito dall’inizio. C’erano due militari accusati, con responsabilità sin da subito impossibili da negare, almeno nell’aver agito all’interno di un turno di servizio e con l’uso del mezzo in dotazione, quando invece avrebbero dovuto svolgere una pattuglia a tutela del territorio e dei cittadini.
In questo caso abbiamo purtroppo fatti nei quali discordano perizie, dichiarazioni, documenti: discordanze che saranno però risolte in giudizio. Le responsabilità dei colpevoli porteranno al dovuto rigore delle sanzioni, anche di quelle disciplinari. I tre accusati di omicidio preterintenzionale sono già stati sospesi. Non sono stati rimossi, è vero. Ma è vero che, se ciò fosse avvenuto, si sarebbe forse sbagliato. Faccio al riguardo due esempi. Oggi emerge che uno dei tre – secondo quanto egli ha dichiarato, accusando gli altri due – potrebbe essere innocente. Erano innocenti gli agenti della Polizia Penitenziaria, che pure erano stati incolpati e portati in giudizio.
Comprendiamo l’urgenza e la necessità di giustizia, così come lo strazio di dover attendere ancora. Ma gli ulteriori provvedimenti, che certamente saranno presi, non potranno non tenere conto del compiuto accertamento e del grado di colpevolezza di ciascuno. Ciò vale per il processo in corso alla Corte d’Assise. E ciò varrà indefettibilmente anche per la nuova inchiesta avviata dal Pubblico Ministero, ora nella fase delle indagini preliminari, nella quale saranno giudicati anche coloro che oggi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
Io per primo, e con me i tanti colleghi, oltre centomila, che ogni giorno rischiano la vita per quei Valori che fin qui ho richiamato, soffriamo nel pensare che la nostra uniforme sia indossata da chi commette atti con essa inconciliabili e nell’essere accostati a comportamenti che non ci appartengono.
Con sinceri sentimenti,
Giovanni Nistri