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La “questione” dei rom

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La comunità rom che vive a Roma non può accedere all'assegnazione degli alloggi popolari

La comunità rom stanziata nei campi nomadi presso la città di Roma non ha accesso agli alloggi popolari, pur vivendo segregata e lontana da strutture che forniscono servizi di base essenziali come scuole e ospedali. Il Comune di Roma avrebbe messo in atto regolamenti che impediscono a migliaia di rom, molti dei quali nati in Italia, di fare domanda per le case fornite dalle autorità locali ai senza dimora. È quanto emerge da un report del Guardian.

Un bando per l’assegnazione delle case popolari pubblicato a dicembre dal Comune di Roma prevedeva che si desse priorità “alle famiglie che si trovano nelle situazioni di maggior vulnerabilità, ovvero di grave disagio abitativo”. Il bando ha subìto una modifica qualche settimana dopo, escludendo specificamente le quattromila persone alloggiate nei campi nomadi dove i container metallici vengono definiti “strutture permanenti” invece che “ricoveri temporanei”.

Secondo Amnesty International, la segregazione dei campi rom fuori città rende difficile per i bambini andare a scuola regolarmente e per gli adulti trovare lavoro. Quasi tutti i campi sono monitorati da telecamere e guardie e sono separati dal resto della città e dalle strade principali con un sistema di recinzioni perimetrali.

A fine febbraio Amnesty e altre associazioni per i diritti umani come Associazione 21 Luglio, l’European Roma Rights Centre (Errc) e la Open Society Foundations (Osf), avevano denunciato in una lettera al Comune di Roma la discriminazione messa in atto in nei confronti dei rom. Le associazioni hanno chiesto al futuro governo italiano e alla Commissione europea di agire. Amnesty ha anche raccomandato che la Commissione europea avvii una procedura d’infrazione contro l’Italia sulla base della Direttiva sull’uguaglianza razziale, per il trattamento discriminatorio dei rom rispetto al loro diritto a un alloggio adeguato.

Le associazioni sostengono che l’esclusione dal bando per gli alloggi è solo l’ultima di una lunga lista di politiche italiane che discriminano i rom nel Paese. Il Trattamento della minoranza rom in Italia viene regolarmente contestato dai gruppi per i diritti umani. L’attuale sistema di campi iniziò a formarsi negli anni Settanta, quando gli abitanti erano principalmente sinti, un gruppo indigeno Gypsy italiano con collegamenti etnici coi rom. Nei primi anni 1990, un afflusso consistente di rom della ex Jugoslavia è stato seguito poi da immigrati provenienti dalla Romania e da altri Stati dell’Unione Europea.

I rom e sinti che vivono nel nostro Paese rappresentano appena lo 0,23 per cento della popolazione italiana: si parla di circa 170-180 mila persone, di cui almeno 70 mila cittadini italiani e 140 mila integrati all’interno di case ordinarie. Più della metà sono bambini. Almeno 10.000 rom in Italia si pensa siano apolidi (ovvero senza alcuna cittadinanza), per non aver ottenuto la cittadinanza da parte dello Stato dell’ex Jugoslavia o perché nati nel nostro Paese da genitori stranieri (l’Italia non riconosce automaticamente la cittadinanza attraverso la nascita sul suolo italiano). I rom senza documenti sono a rischio di controlli di polizia e azioni legali. La strada per l’integrazione è ancora molto lunga.

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