Gli italiani all’estero che rientrano per le feste di Natale
Laura Stahnke condivide su TPI le sue riflessioni sui commenti del ministro Poletti, mentre con altri italiani residenti a Londra viaggia verso casa
L’Italia inizia a Liverpool Street. Qui alle quattro di mattina un gruppo di visi stanchi aspetta l’autobus che li porterà in aeroporto per prendere il primo volo del mattino, il più economico, verso casa.
Alla fermata dell’autobus si sentono accenti di tutta Europa, si riconoscono cadenze familiari e ci si avvicina, facendosi a vicenda le stesse domande che gli italiani all’estero si rivolgono come in un rituale. Da dove vieni, da quanto stai a Londra, che fai qui, quanto ti fermi a casa.
Chi rientra andrà a Bari, Palermo, Torino, Pisa. A Londra ci stanno da cinque anni, due anni, tre mesi. Lavorano in studi legali, fanno ricerca, ma più spesso lavorano nel settore della ristorazione come cuochi e camerieri, il settore che a Londra è dominato dagli italiani. E ora tornano a passare Natale a casa. Chi si ferma cinque giorni, chi otto, i più fortunati due settimane.
Chissà se il ministro del Lavoro Giuliano Poletti quando qualche giorno fa ha affermato che “certi Italiani è meglio levarseli dai piedi” si riferiva anche a qualcuno di loro.
Per arrivare in aeroporto da Liverpool Street ci vuole un’ora. Gli italiani che si sono conosciuti alla fermata si siedono vicini sull’autobus, mettendosi a chiacchierare, ognuno eccitato per il rientro a casa. Si raccontano cosa mangeranno, chi rivedranno.
Una di loro, diciannove anni e appena diplomata, a Natale lavorerà: il ristorante dove fa la cameriera non le ha dato le ferie. Sta andando in aeroporto ad aspettare l’arrivo del ragazzo, che la sta raggiungendo da Palermo e le terrà compagnia durante le feste.
Lungo il tragitto racconti e domande continuano. Ci si dice dove si vive a Londra, quali sono i quartieri migliori per trovare casa, quali quelli troppo costosi anche solo per prendere un caffè.
Una ragazza racconta come una volta laureatasi in giurisprudenza in Italia e arrivata a Londra in cerca di lavoro ha scoperto che la sua laurea qui non è valida per lavorare in ambito legale.
Ha avuto fortuna ed è stata assunta in uno studio di avvocati italiani che qui a Londra lavorano con clienti anch’essi italiani, ma se volesse cambiare studio dovrebbe prima tornare all’università e ottenere un titolo valido nel Regno Unito.
Qualcuno introduce la domanda che sempre, immancabilmente, gli italiani all’estero si rivolgono a vicenda: pensi di ristabilirti a casa o vuoi restare?
Sono tutti concordi: in Italia si vive meglio. C’è chi si dice convinto di voler rientrare, un giorno. Chi ci ha già provato, ma dopo qualche mese in Italia e molti tentativi di trovare lavoro è tornato nel Regno Unito, dove in tre giorni si ottiene un impiego. Chi ha paura del rientro, dopo tanti anni fuori. Chi vive lontano dall’Italia ma serba in segreto il desiderio di rientrare e vive i racconti altrui di precarietà, disoccupazione e burocrazia come un incubo dai contorni poco definiti, ma che prima o poi dovrà affrontare.
Non è la prima volta che un politico italiano rivolge parole negative nei confronti dei giovani che hanno scelto di andarsene. La decisione dei milioni di italiani che si sono stabiliti all’estero viene spesso sminuita, o fatta passare per una scelta facile.
Forse perché chi ha dovuto lasciare l’Italia in realtà è lo spettro dei fallimenti delle politiche italiane in materia di istruzione e lavoro. È molto più facile dire che si sta meglio senza di noi, anziché ammettere che se siamo lontani è perché qualcosa in Italia non funziona, e che non si ha alcuna soluzione da offrire.
Dopo un’ora l’autobus arriva in aeroporto. Questa mattina Stansted raccoglie migliaia di persone che rientrano a casa per Natale. Poche famiglie, molti viaggiano singolarmente per raggiungere familiari rimasti altrove. Qui gli italiani di Liverpool Street si confondono in mezzo a spagnoli, polacchi, portoghesi che trascinano valigie e zaini ai quattro angoli d’Europa.