“L’Italia sta consapevolmente cooperando con gli aguzzini in Libia”, parla Amnesty International
Elisa De Pieri, ricercatrice di Amnesty International, illustra a TPI quali sono le motivazioni per cui la Ong accusa Italia ed Europa di essere colluse con il sistema di violenze libico
“Libia: un oscuro intreccio di collusione”. È questo il dossier rilasciato il 12 dicembre da Amnesty International nel quale la Ong accusa l’Unione europea e l’Italia di sostenere in maniera attiva “un sistema di abusi e sfruttamenti” sulle coste libiche. In base ai dati illustrati nel documento, i fondi europei per la Libia vanno alle autorità che collaborano con le milizie e i trafficanti di esseri umani.
Tra queste vi è la guardia costiera libica, cui l’Ue ha fornito navi e addestramento.
Con Elisa De Pieri, ricercatrice sull’Italia del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International, TPI ha approfondito le accuse contenute nel rapporto e ha provato a tracciare un quadro dell’attuale situazione in Libia.
“La situazione in Libia è nota da molto tempo, quello che noi abbiamo voluto denunciare con accuratezza è la consapevole complicità dell’Italia e delle istituzioni dell’Unione europea, che hanno fatto una scelta precisa di cooperazione con le autorità libiche, con i capi tribù e con i gruppi armati che sono parte del sistema di sfruttamento di migranti e rifugiati”, spiega la De Pieri.
“L’Italia ha compiuto una scelta consapevole di cooperare con gli aguzzini”, specifica la ricercatrice.
In che modo si sostanzia questa cooperazione?
Bisogna partire da ciò che sta accadendo in Libia, i migranti o i rifugiati vengono detenuti e sfruttati nei centri governativi dalle milizie e da bande armate. Questo sistema si basa sul fatto che l’ingresso nel territorio libico è considerato un crimine, il governo italiano non può collaborare con della autorità che sostengono un sistema illegale dal punto di vista internazionale.
La detenzione in Libia è completamente arbitraria, non c’è nessuna possibilità di controllo giudiziario, i centri che sono sotto il controllo del ministero degli Esteri libico sono sostanzialmente in mano a guardie carcerarie che colludono con le milizie.
Cesvi, Cir (Consiglio italiano per i rifugiati), Cefa (Comitato europeo per la formazione e l’agricoltura), Gus (Gruppo umana solidarietà), Ccs (Centro cooperazione sviluppo) Emergenza Sorrisi e Fondazione Albero della Vita sono le sette organizzazioni non governative italiane che andranno a operare in Libia con progetti finalizzati a migliorare il più rapidamente possibile le condizioni delle persone migranti “intrappolate” nei centri di detenzione del paese nordafricano. Quale sarà l’esito secondo lei?
Cercare di mandare delle Ong, o mandare soldi di cooperazione o creare dei programmi come l’Italia si è impegnata a fare nel memorandum di intesa con la Libia per riformare questo sistema è ridicolo, è il sistema che è al centro dello sfruttamento dei migranti.
Quello che l’Italia deve fare è capovolgere completamente la propria cooperazione, porre delle condizioni molto forti alle istituzioni libiche, chiedere che questo sistema venga abolito, non ci può essere detenzione dei migranti soltanto per l’ingresso irregolare. Su questo l’Italia deve essere irremovibile.
Nella pratica quali dovrebbero essere le richieste italiane?
L’Italia dovrebbe chiedere al governo libico di smantellare subito i centri di detenzione, la prima cosa è localizzare, registrare e liberare i migranti, far riconoscere pienamente il ruolo dell’Alto commissariato in Libia. Il governo italiano si sta facendo scudo di aver dato un po’ più di finanziamenti a questo organo, questo è vero e importante, ma l’Alto commissariato è limitato nella propria capacità di azione perché non è riconosciuto dal governo libico.
L’Italia tutte queste cose non le ha mai chieste, ha solo pagato perché i rifugiati vengano tenuti lì.
Quindi una cooperazione è del tutto impensabile tra i due paesi?
Non stiamo dicendo che non ci deve essere collaborazione, il fatto è che l’Italia e l’Europa stanno offrendo questa cooperazione soltanto al fine di controllare gli arrivi in Europa, questo è il punto di partenza sbagliato, la guardia costiera libica riceve formazione ma tutto questo nel contesto in cui ci si trova a operare ha un senso molto limitato. Le forze della guardia costiera libica riportano i migranti a terra spesso in collusione con i trafficanti, ricevendo un vantaggio economico.
La formazione è importante, ma non può essere fatta senza una direzione politica in conformità con il diritto internazionale.
Concludere un accordo con i capi tribù della Libia significa operare mancando di trasparenza, questo accordo non è passato per il parlamento libico, non sappiamo questi capi tribù quale passato abbiano, o se possono essere coinvolti in violazioni dei diritti umani. L’Italia si sta prestando a una collaborazione con persone che possono essere implicate in crimini gravissimi e lo sta facendo nella totale consapevolezza, non solo di quello che succede in Libia.
Cosa pensa del programma sui rimpatri volontari?
La situazione in Libia è tale per cui il ritorno a casa può non essere una scelta. Se bisogna decidere tra morire in mare, restare detenuti e torturati, o essere uccisi, offrire il ritorno volontario rende discutibile il livello di volontarietà di questa scelta.
Bisogna notare che il budget dell’organizzazione internazionale delle migrazioni è stato notevolmente aumentato, c’è una chiara volontà dell’Europa e dell’Italia di procedere con questi ritorni volontari, che sostanzialmente vuol dire chiedere di nuovo all’Africa di farsi carico di persone al di là del problema di mancanza di protezione internazionale.
Cosa dice sul rapporto Italia-Europa-Alto commissariato per i rifugiati?
L’Italia e l’Europa non stanno aiutando l’Alto commissariato per i rifugiati. Ieri c’è stato un altro appello per 1.300 posti per persone estremamente vulnerabili che devono essere reintegrate dalla Libia e l’Alto commissariato sta elemosinando questi posti. Altri 20mila erano chiesti a settembre ma l’Europa ne ha dati solo 10mila.
Poco è noto sui centri di detenzione ufficiali, ancor meno su quelli illegali. Qual è la posizione di Amnesty?
C’è una stima di 20mila persone detenute nei centri sotto il controllo del dipartimento per il controllo dell’immigrazione illegale, ma cosa siano e quanti siano è davvero difficile stabilirlo.
Per questo fornire aiuto per riformarli è inutile. Le autorità italiane nel memorandum fanno riferimento ai centri di raccolta e accoglienza, non li si chiama mai con il loro nome, questo dimostra una certa malafede.
In Libia ribadisco c’è il reato di ingresso irregolare, questo reato giustifica in qualche modo l’operato e la stessa esistenza del dipartimento per il controllo dell’immigrazione clandestina. Quel reato dà carta bianca a chiunque per arrestare i migranti che non hanno un giudice cui rivolgersi e che sono condannati a una detenzione arbitraria e indefinita.
Dire che si va a dare migliori condizioni nei centri è una foglia di fico.
L’Italia e l’Europa devo pressare le autorità libiche per modificare questo sistema, abolire il reato di immigrazione illegale, aprire i centri, e riconoscere l’Alto commissariato per i rifugiati.