In Italia abbiamo perso il diritto di parlare, ancora prima di pensare liberamente
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Due episodi accaduti nell'ultima settimana mettono seriamente in pericolo la libertà di parola nel nostro paese. Ecco quali sono e perché c'è da preoccuparsi nel commento di Lara Tomasetta
Il 20 giugno a Roma si è tenuto il flash mob organizzato da Amnesty International in occasione della Giornata mondiale del migrante. In tale occasione, un attivista è stato fermato e identificato dalla polizia dopo un intervento al microfono. Nella stessa settimana, al giornalista Filippo Facci è stata notificata la sospensione, in via transitoria, dall’ordine dei giornalisti, per un articolo da lui scritto nel 2016.
I due eventi, apparentemente distanti e per nulla pertinenti l’uno con l’altro, sono invece due facce della stessa medaglia: qual è il livello della libertà di parola in Italia?
Per chi non conoscesse i fatti, va premesso che:
– Durante il flash mob di martedì un attivista che aveva preso parola e che si era scagliato contro il decreto Orlando-Minniti è stato identificato dalla polizia, e gli sono stati chiesti i documenti.
Sempre in quella sede, come si vede chiaramente in un video riportato dal giornale online FanPage, un funzionario delle forze dell’ordine chiede al portavoce di Amnesty International Riccardo Noury di “prendere le distanze” dalle dichiarazioni dell’attivista contro il decreto.
“Lei conosce questo signore?”, chiede l’agente a Noury. Il portavoce di Amnesty risponde “sì, da quattro giorni”. Poi l’agente incalza e, con un tono che assomiglia molto più a un’imposizione che a una domanda, si rivolge nuovamente a Noury: “Quindi lei si dissocia da quanto ha detto il signore”.
A quel punto sul volto del portavoce compare un’espressione giustamente basita: perché mai si sarebbe dovuto dissociare? L’attivista aveva solo criticato il decreto e il modo in cui il sindaco di Roma lo sta applicando.
– Il secondo episodio riguarda invece il giornalista Filippo Facci che sul quotidiano Libero del 2016 ha scritto un articolo dal titolo “Perché l’Islam mi sta sul gozzo”. Si tratta di un pezzo molto duro, come stesso Facci ammette, nel quale il giornalista sciorina tutto il proprio dissenso nei confronti dell’Islam.
L’articolo non piace e indigna, tanto che un collega invia un esposto all’ordine dei giornalisti della Lombardia che tramite sentenza sospende Facci dalla professione e gli impedisce di ricevere lo stipendio per due mesi.
“Le affermazioni contenute nell’articolo hanno un evidente carattere razzista e xenofobo (…) Facci offende una religione e un intero sistema di valori”, si legge nella sentenza dell’ordine lombardo.
Gli episodi citati si trovano agli antipodi di quella che possiamo definire come la stessa radice del problema: diventa sempre più difficile esercitare in Italia il diritto di parola.
Sulla qualità dell’articolo di Facci potremmo dibattere per ore. Potremmo dire che quello non è buon giornalismo o che non condividiamo niente di quanto da lui asserito. Ma non c’è nelle sue parole qualcosa che giustifica una sanzione simile.
Facci ha precisato che il suo articolo si riferisce a idee e non a persone, e che il suo odio è indirizzato all’Islam come patrimonio di idee.
Ma la libertà di quelle idee, che siano o meno condivise, è sacrosanta.
Così come è sacrosanta la libertà di un attivista che partecipa a una manifestazione – autorizzata e svoltasi nel rispetto di tutte le norme – di poter esprimere senza paura, senza velate minacce, senza possibili ritorsioni sulla propria libertà, una personale idea.
Non è possibile assistere a episodi di questa gravità senza provare una giusta preoccupazione rispetto alla deriva dispotica che si sta diffondendo. Ci si preoccupa da giornalisti, ma anche da semplici cittadini, perché uno dei fondamentali su cui si fonda la democrazia nel nostro paese è proprio la libertà di pensiero.
Se viene meno questo principio, come quello di poter scrivere altri 200 articoli che vanno in direzione esattamente opposta a quanto sostenuto da Facci, o come quello di poter liberamente ed educatamente manifestare in piazza, si sta seriamente mettendo in pericolo la nostra libertà.
E quella è una sconfitta per tutti.