Chi era Imane Fodil, una delle testimoni chiave nel processo Ruby, morta a Milano
La modella è morta il 1 marzo 2019 dopo un mese di ricovero. Incerte le cause del decesso
Aveva poco più di 25 anni Imane Fadil la prima volta che ricevette un invito nella villa di Arcore, la casa di Silvio Berlusconi coinvolta nello scandalo delle cosiddette “cene eleganti”. Era il 2011 e il presidente di Forza Italia (allora Popolo delle Libertà) era anche presidente del Consiglio.
Secondo i successivi racconti della ragazza, Fadil partecipò a ben otto di quegli appuntamenti. Dopodiché, dopo aver realizzato di aver visto abbastanza, decise di presentarsi in Procura e raccontare tutto quello a cui aveva assistito.
Divenuta una delle testimoni più importanti dei vari filoni d’inchiesta del processo Ruby, nel quale l’ex premier e altri imputati devono rispondere alle accuse di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza, da allora il suo nome e la sua foto sono balzati su tutti i giornali.
Otto anni dopo, il 15 marzo 2019, tutta Italia è venuta a conoscenza della morte della giovane di origini marocchine: la donna, 34 anni, si trovava ricoverata all’ospedale Humanitas di Milano dal 29 gennaio. Il primo marzo, poi, il decesso. La notizia si è diffusa solo dopo qualche settimana, quando il procuratore Francesco Greco ha comunicato l’apertura di un’indagine sulla morte.
Ancora incerte le cause del decesso di Imane Fadil: la donna, tuttavia, aveva raccontato in precedenza al suo avvocato di temere di essere stata avvelenata.
Modella di origini marocchine, Imane Fadil è divenuta molto conosciuta in Italia proprio per il suo ruolo di teste nel processo a carico di Silvio Berlusconi. All’interno del filone Ruby Bis, la modella marocchina ha chiesto un risarcimento a Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti per essere stata indotta a partecipare alle cene di Arcore “e intrattenere rapporti intimi col presidente Berlusconi, approfittando del suo stato di bisogno”, come spiegò il suo avvocato Danila Dedomenico.
A gennaio 2019, invece, Fadil (insieme ad Ambra Battilana e Chiara Danese) è stata esclusa dalle parti civili dal tribunale di Milano, perché il reato di corruzione in atti giudiziari è lesivo soltanto nei confronti dello Stato e non di altre parti, come le ragazze che hanno denunciato. “Ho sempre detto la verità – ha dichiarato in quell’occasione la donna – e ho anche respinto tanti tentativi di corruzione da parte di Silvio Berlusconi e del suo entourage. Per ciò che succedeva ad Arcore noi abbiamo pagato più di tutte quelle che hanno deciso invece di farsi corrompere”.
In un’intervista al Fatto Quotidiano di aprile 2018, la modella aveva confermato tutte le sue accuse: “Andavo ad Arcore perché speravo bastasse entrare in quel giro per ottenere un lavoro. Solo dopo ho capito. E ho parlato”, ha dichiarato.
Sulla sua vita dopo aver raccontato il Bunga Bunga, Fadil ha raccontato: “Non riuscivo neanche a uscire di casa, mi è stata fatta terra bruciata intorno: la gente pensava fossi una prostituta, ho perso gli amici e quei pochi lavoretti che avevo”.
“L’ultima sera – ha continuato la ragazza – viene da me una ragazza e mi dice: guarda che per ottenere qualcosa devi fare qualcosa in più. E lì ho capito tutto. Fino a quel momento speravo non mi venisse mai chiesta una cosa del genere”.