Il cinema italiano odia le donne, ma solo se al potere
Con Maura Misiti, demografa e prima ricercatrice all'Istituto CNR, TPI ha approfondito le enormi disparità di genere che affliggono il mondo degli audiovisivi
L’obiettivo della parità di genere nel mondo del lavoro sembra ancora lontano. Le disparità di trattamento economico e le posizioni professionali mostrano un ampio divario tra donne e uomini.
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Oggetto delle maggiori disparità professionali sono le categorie che riguardano i ruoli di potere. Secondo il Global Gender Gap report del 2016, l’Italia è al 127esimo posto su 144 posizioni nel mondo per quanto riguarda la parità di trattamento economico nel mondo del lavoro.
Rispetto al totale degli occupati in ruoli da leader, gli uomini rivestono questa posizione con una percentuale del 16 per cento maggiore rispetto a quella donne.
Maura Misiti, demografa e prima ricercatrice all’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), è esperta in studi sull’approccio di genere e ha spiegato a TPI come Il settore informazione e comunicazione sia particolarmente afflitto da questa disparità.
Misiti cita il rapporto Gap&Ciak che illustra i divari di genere nel lavoro e nell’industria audiovisiva. Il progetto è stato realizzato con il supporto della Siae e sarà presentato il 9 marzo al centro sperimentale di cinematografia di Roma per l’iniziativa Dea – Donne e Audiovisivo, che affronta il tema della parità di genere nel settore audiovisivo, un’industria che ha un’importanza strategica nella rappresentazione delle donne nella società.
Il rapporto parte da un’analisi delle posizioni professionali di potere occupate dalle donne rispetto agli uomini e giunge a sottolineare come anche nel mondo del cinema e degli audiovisivi le donne siano in netta inferiorità.
Le disuguaglianze in Europa
Nel 2015 l’occupazione femminile ha raggiunto in l’Europa il 64,5 per cento, il tasso più alto dal 2008, ma ben al di sotto di quello maschile (75,6 per cento).
Nella graduatoria europea l’Italia si posiziona al di sotto della media con un tasso del 50,9 per cento (donne 20-64 anni), superiore solo a quello della Grecia. Se consideriamo una misura che include anche il lavoro part time, l’Italia rimane nella stessa posizione arretrata, con un gap rispetto all’occupazione maschile di 24 punti percentuali.
“La presenza di donne nelle posizioni dirigenziali degli organismi europei è scarsa”, premette Misiti. “Nell’Ecofin e nel board della Banca centrale europea le donne non superano l’8 per cento”.
Nel mondo delle aziende il 7 per cento di donne sono presidenti, il 5 per cento amministratrici delegate e il 23 per cento figurano nei consigli di amministrazione. In Italia al 2016 all’interno delle aziende quotate non ci sono donne nella posizione di Ceo, ma la quota nei cda è salita al 30 per cento, mentre le dirigenti nelle imprese rappresentano il 9 per cento del totale, nelle posizioni non dirigenti le donne sono il 35 per cento.
(Un poster dell’iniziativa Dea)
“Se osserviamo il mondo degli audiovisivi notiamo che gli ostacoli che le donne dello spettacolo, del cinema, della TV si trovano ad affrontare sono simili a quelli che in generale si manifestano nel mercato del lavoro”, spiega Misiti. “Discriminazioni nelle assunzioni, minori retribuzioni, precarie condizioni di lavoro, difficoltà nell’accesso alle posizioni decisionali e di maggiore prestigio”.
Nel settore degli audiovisivi, più che in altri, gli stereotipi di genere hanno un ruolo cruciale.
“Il settore della cultura e quello audiovisivo in particolare marca ancora una considerevole distanza nell’acquisizione delle pari opportunità e dell’uguaglianza di genere nonché una certa inerzia al cambiamento, soprattutto per quanto riguarda la produzione commerciale”, racconta Misiti. “Vogliamo porre l’accento sulla differenza sostanziale nelle quantità di professioniste impiegate in ruoli chiave a livello produttivo, creativo e distributivo rispetto ai loro colleghi associati al genere maschile: il differenziale è ancora tutto a discapito delle donne”.
Dalle analisi dei dati su ingresso, frequenza e diplomi ottenuti nelle scuole di cinema e televisione, emerge che quelle che sono definite come “opere prime” – ossia le prime pellicole prodotte – spesso a basso budget, sono meno colpite dalla disuguaglianza di genere. Il collo dell’imbuto si stringe, invece, come riscontrato anche in altri ambiti lavorativi, nelle fasi successive della carriera, e riguarda le posizioni di responsabilità.
“Le cause della diseguaglianza di genere coinvolgono dunque le pratiche di ingaggio e le fasi di consolidamento della carriera, e non è ininfluente il fatto che per alcuni ruoli manchino modelli di riferimento e stimoli già in fase di formazione”, racconta la prima ricercatrice. “Inoltre, come in altre realtà, colpiscono sia a livello orizzontale – con una minore quantità di professioniste impiegate negli ambiti chiave della produzione, creazione, distribuzione – che verticale, via via che aumenta il budget o il livello gerarchico nell’industria diminuisce sensibilmente la presenza femminile.
Quello che sottolinea la ricercatrice e che emerge dai dati è evidente. Le donne che lavorano nel mondo del cinema toccano percentuali alte, ma sono relegate a ruoli non di potere come segretarie di produzione e attrici, mentre professioni quali registe e altri ruoli di leadership sono ancora appannaggio esclusivo degli uomini.
“Fino a quando l’industria cinematografica continuerà a offrire narrazioni e rappresentazioni del mondo da un punto di vista essenzialmente maschile, resteremo una società maschilista e patriarcale”, ha concluso Misiti.
Le diseguaglianze nel cinema italiano
Secondo i dati raccolti dall’Empowering women antiviolence (Ewa) e contenuti nel rapporto Gap&Ciak, l’88 per cento dei film a finanziamento pubblico italiano sono diretti da uomini. Solo nel 12 per cento dei casi si registra una regia femminile.
• Il 79 per cento dei film prodotti dalla Rai è stato diretto da uomini. Sono solo il 21 per cento i film prodotti dalla Rai con una regista.
• Il 90,8 per cento dei film che arrivano alle sale cinematografiche è diretto da uomini.
• Meno del 10 per cento sono i film diretti da donne che arrivano nelle sale cinematografiche.
Tra gli ostacoli per le professioniste dell’audiovisivo emergono discriminazioni nelle assunzioni, minori retribuzioni, precarie condizioni di lavoro, difficoltà nell’accesso alle posizioni decisionali e di maggiore prestigio, assegnazione di budget più bassi per i prodotti di cui sono responsabili scarsa presenza in alcune professioni.
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