Il Dj e la parmigiana
La storia di Daniele De Michele, il DJ che vuole salvare le ricette tradizionali della cucina italiana
Daniele De Michele ha quarant’anni e il suo nome d’arte è DJ Donpasta.
Nel suo viaggio lungo un anno ha esplorato l’Italia in lungo e in largo e ha intervistato cuochi, artigiani e pescatori, raccogliendo le loro ricette nel tentativo di preservare le tradizioni alimentari più antiche del nostro paese.
Il risultato finale dei suoi viaggi sarà un libro pubblicato dalla casa editrice italiana Mondadori. Il New York Times questa settimana ha raccontato la sua storia.
Il timore di De Michele, originario di Otranto in provincia di Lecce, è che alcune delle tradizioni culinarie secolari d’Italia potrebbero scomparire e alcuni tra gli alimenti più genuini alla lunga potrebbero essere alterati, complici i regolamenti dell’Unione europea che soffocano le tradizioni locali e rendono difficile la sopravvivenza dei piccoli produttori, ma anche i troppi concorsi televisivi di cucina.
Per questo ha fatto dell’attivismo culinario la sua missione. “Volevo esplorare la memoria”, spiega De Michele al New York Times, “e come l’identità basata sulla memoria persiste, esiste, si perde – e scattare un’istantanea della cucina della classe operaia italiana di oggi”. Programmi di cucina come Master Chef, secondo lui, “portano via la consapevolezza di qualcuno, la sua identità”.
Come DJ Donpasta, De Michele si è esibito tra gli altri presso la Ballroom Highline di New York, il Parc de la Villette di Parigi, l’Auditorium Parco della Musica di Roma e l’Alte Kantine a Berlino. In una delle sue performance, ha pronunciato un discorso spiegando come “cucinare rappresenti un atto politico”.
Il suo ultimo libro, pubblicato lo scorso anno, è “La Parmigiana e la Rivoluzione”, una sorta di diario che mescola ricette, musica jazz, funk e rock, con digressioni verso aree d’Italia dove gli immigrati stanno trasformando la cucina.
“Per me, è normale suonare musica e cucinare”, ha aggiunto. “Ho paragonato la parmigiana di melanzane a John Coltrane, perché è un piatto con un mix di sapori e complessità, migliorato attraverso un’infinita improvvisazione”.