La ex moglie è troppo “scansafatiche” e i giudici le negano l’assegno di mantenimento
Una sentenza di divorzio decisamente innovativa quella che giunge dal tribunale di Treviso. Ad una donna è stato infatti sospeso l’assegno di mantenimento del coniuge perché giudicata “pigra”.
La 35enne di origini sudamericane con una laurea in commercio estero si è trasferita in Italia per seguire il marito, ma dal 2007 – l’anno in cui i due si sono sposati – la donna non è mai riuscita a trovare lavoro nel nostro paese. Il principale motivo, nonché la giustificazione che la donna ha dato al suo essersi “seduta sugli allori” sembra essere la scarsa padronanza della lingua.
La donna si è inoltre difesa sostenendo che sia stato proprio il suo trasferimento in Italia per seguire il marito ad averle guastato la carriera: altro che pigrizia e inoperosità, la donna si sarebbe trovata nell’impossibilità, durante questi anni, di trovare un impiego e, quindi, di contribuire al benessere familiare.
L’ex marito, un affermato professionista con uno stipendio di oltre 4mila euro, versava mensilmente alla donna un assegno di 1.100 euro che l’ex moglie pretendeva fosse alzato a 1900 euro; i giudici però, o meglio, la giudice donna che presiede il Tribunale treviggiano, ha però stabilito che non le spetta questo diritto a seguito della sua condotta.
Sono infatti stati giudicati come “pretesti” i motivi con cui la donna giustificava la sua disoccupazione. Secondo la valutazione del collegio del tribunale di Treviso il grosso divario economico tra i due, comunque evidente, sarebbe da imputare solo a questa “inerzia” della ex coniuge: “Non vi è stato alcun apprezzabile sacrificio della signora, durante la vita coniugale, che abbia contribuito alla formazione o all’aumento del patrimonio”, è quanto infatti si legge nella sentenza.
“Essendosi trasferita in Italia nel 2014 appare poco verosimile la circostanza che ai colloqui lavorativi venga scartata perché non è in grado di parlare bene la lingua. Il solo invio di curricula non è sufficiente a provare l’ impossibilità di reperire un impiego”, hanno poi proseguito i giudici.