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Home » News

La prima intervista di Gilberto Benetton dopo il disastro di Genova

Immagine di copertina
Gilberto Benetton. Credit: AFP PHOTO / BERTRAND GUAY

Il fondatore del gruppo imprenditoriale che controlla Autostrade per l'Italia risponde alle critiche ricevute dopo il crollo del ponte Morandi

Giovedì 6 settembre 2018 Gilberto Benetton, fondatore del Gruppo Benetton, ha rilasciato al Corriere della Sera la sua prima intervista a tre settimane dal crollo del ponte Morandi di Genova.

La famiglia Benetton, attraverso la holding Atlantia, detiene il controllo della società Autostrade per l’Italia, che il Governo ha individuato come principale responsabile del disastro.

I Benetton sono stati accusati da più parti di aver dimostrato scarsa umanità a causa di alcuni comunicati stampa diffusi dopo la tragedia, incentrati più su questioni economiche e tecniche che sul dolore per le vittime e sulla vicinanza ai loro cari.

“Il disastro di Genova deve essere per noi come azionisti un monito perenne, anche se terribile e per sempre angoscioso nei nostri cuori, a non abbassare mai la guardia e continuare a spingere il management, che ha la responsabilità della gestione, a fare sempre di più e di meglio, nell’interesse di tutti, e ripeto tutti”, osserva nell’intervista Gilberto Benetton.

“Se nel caso di Autostrade sono stati commessi degli errori, quando si sarà accertato compiutamente l’accaduto verranno prese le decisioni che sarà giusto prendere”, risponde l’imprenditore alla domanda se crede che da parte di Autostrade per l’Italia siano stati commessi errori.

Benetton conferma peraltro la propria fiducia nei confronti del management della società.

“Conosco il presidente Fabio Cerchiai da molti anni e in lui ho la massima stima e fiducia, come sono sempre stato convinto della serietà, della competenza e dell’eccellenza del management di Autostrade e di Atlantia.

“Siamo certi della totale volontà di collaborazione con le istituzioni e le autorità preposte da parte della società operativa Autostrade per l’Italia, il che significa assoluta trasparenza e completa assunzione delle responsabilità che venissero accertate, quando lo fossero”.

Gilberto Benetton racconta poi dove si trovava il giorno del disastro di Genova.

“Ero in vacanza, come credo la maggior parte degli Italiani. Ad un tratto il dramma, e tutto è cambiato: anche per noi sono iniziati giorni di sofferenza e di cordoglio. Siamo stati costantemente vicini, nel ruolo di azionisti, alle decisioni prese dai manager di Autostrade per l’Italia, e al lavoro che loro hanno svolto per iniziare a capire ciò che era successo e per mettere a punto i primi interventi e i primi aiuti alla città di Genova, interventi che continuano con grande determinazione e per affrontare le difficoltà che i cittadini della città continuano a vivere”, spiega.

Rispetto alle critiche ricevute per il silenzio con cui Atlantia ha gestito la comunicazione nelle ore e nei giorni immediatamente successive al crollo del ponte Morandi, l’imprenditore risponde così: “Dalle nostre parti il silenzio è considerato segno di rispetto”.

“Edizione, la nostra holding, ha parlato meno di 48 ore dopo la tragedia, a voce bassa è vero, perché la discrezione fa parte della nostra cultura”, aggiunge. “Ha però comunicato con parole chiare e inequivocabili un pensiero di cordoglio alle famiglie delle vittime e la propria vicinanza ai feriti e a tutti coloro che sono stati coinvolti in questo disastro”.

“Con altrettanta fermezza abbiamo dichiarato che verrà fatto tutto ciò che è in nostro potere per favorire l’accertamento della verità e delle responsabilità dell’accaduto. Forse non siamo stati sentiti”, sottolinea Benetton.

La famiglia che dà il nome al noto marchio d’abbigliamento è stata criticata anche perché, poche ore dopo il disastro, si è riunita per una festa a Cortina.

“Sinceramente non è mia abitudine rispondere a insinuazioni”, replica Gilberto Benetton. “Ma è vero, tutta la famiglia il 15 agosto si è riunita a casa di mia sorella Giuliana, come abbiamo sempre fatto negli ultimi trenta anni, questa volta stretti assieme per ricordare nostro fratello Carlo, il fratello più giovane, scomparso meno di un mese prima”.

Nell’intervista si passa poi a parlare dei temi legati ai rapporti con il Governo, che dopo il disastro ha annunciato la revoca della concessione ad Autostrade. Viene chiesto all’imprenditore se ci sono stati contatti diretti con l’esecutivo.

“In verità, siamo più gente del fare, sempre disponibili al dialogo ma per un confronto serve un clima costruttivo”, osserva Benetton, che sulla frase di Salvini secondo cui “Autostrade è senza cuore” replica: “Dispiace, molto, ma io credo che Salvini conosca gli imprenditori e sappia quello che c’è nei loro cuori”.

La nazionalizzazione delle autostrade? “Oggi questo mi sembra sia diventato un tema politico e quindi al di fuori di ciò di cui mi occupo. Come gruppo siamo sempre stati attenti e collaborativi con le istituzioni e le autorità, e continueremo ad esserlo nel rispetto delle proprie posizioni, dei propri doveri e dei propri diritti”, afferma Gilberto Benetton.

Il patron del Gruppo Benetton ricostruisce così le vicende che alla fine degli anni Novanta portarono alla privatizzazione delle autostrade e alla concessione ad Atlantia.

“C’è stato il momento storico delle privatizzazioni che lo Stato decise di fare, a causa del grande debito pubblico, per poter entrare nell’euro. In quel momento Autostrade fu messa sul mercato con un’asta pubblica, sottolineo pubblica, a cui chiunque poteva partecipare e infatti il gigante delle infrastrutture australiano Macquarie era fortemente interessata a rilevarla”.

Benetton ricorda come non fu facile “creare una cordata di imprenditori a guida italiana che volessero rilevare le autostrade”.

“L’asta richiedeva di rilevare il 30 per cento di Autostrade, noi di Edizione volevamo il 4 per cento e finimmo per prenderne il 18 perché oltre ai soci che condivisero con noi quel progetto — Fondazione Crt, Generali, Unicredit, Abertis e Brisa — non si fece vivo nessun altro. Nessuno”.

“Dopo aver dimostrato con Autogrill (privatizzata nel 1995) che Edizione era in grado, come azionista, di saper sviluppare anche business lontani da quello delle nostre origini, ci si è cimentati con questa sfida offrendo una cifra che allora fu giudicata spropositata, l’intera società con la nostra offerta veniva infatti valutata 8,4 miliardi di euro di allora, un ‘regalo’ piuttosto caro direi, e questo oggi nessuno lo vuole ricordare”.

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