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Home » News

Non riduciamo il G8 a una trappola. Intervista a ZeroCalcare

Immagine di copertina

L'intervista di Fernanda Pesce Blazquez al fumettista ZeroCalcare a quindici anni dal G8 di Genova

L’intervista a Zerocalcare sul G8 di Genova. 

Sui passi dei manifestanti e le orme delle ruote dei blindati sorge oggi una grande aiuola di erba verdissima. Il sole splende su quella che solo per alcune lunghe giornate del luglio 2001 fu denominata Piazza Carlo Giuliani, con un indelebile nero di rabbia.

A quindici anni dal G8 di Genova, in Piazza Alimonda si respira solo l’inchiostro di sei fumettisti che provano a gettare colore sulle tragiche vicende che hanno segnato una generazione. Creano bellezza, sulle note nostalgiche di una chitarra e sotto gli sguardi invadenti di una cinquantina di curiosi. Uno di loro, occhi grandi e verdissimi, come l’aiuola al sole, è Michele Rech, classe 1983, in arte ZeroCalcare: uno tra i più noti fumettisti italiani.

Lo conoscono in tanti, forse anche perché è proprio come nelle sue vignette: sempre schietto, con quell’inconfondibile accento romano. In occasione della commemorazione per la morte di Giuliani, tenutasi nella giornata del 20 luglio 2016 in Piazza Alimonda, ZeroCalcare ha disegnato se stesso mentre scappa con due amici per i carruggi della città, di quella Genova ribelle e infuocata che il fumettista visitò esattamente quindici anni fa. Mentre disegna, i presenti sorridono stupiti, come se tutti quei tratti su carta, frenetici e ballerini, fossero nuove grida di giustizia e libertà.

In molti partirono per Genova ascoltando l’ultimo album dei Radiohead, KID A, quali erano i tuoi riferimenti musicali nel 2001?

Nel 2001 i miei riferimenti musicali rientravano già nel genere punk, più precisamente nel punk italiano. Ricordo un disco che ascoltavo moltissimo in quel periodo, era dei Senza Sicura. Ascoltavo anche il gruppo italiano di ska punk Banda Bassotti, oltre ai classici del punk rock, come i The Clash, i Bad Religion e tutta quella roba là.

Massimo Palma, nel suo libro Happy Diaz, ha definito la tua generazione anche come quella che è stata “ammazzata di botte”, ma che su molte cose ci aveva visto giusto. Come la definiresti tu?

La mia generazione non stava tutta qui e non si esaurisce a Genova, ci sono tante persone della mia generazione che Genova non l’hanno vista nemmeno con il binocolo e nemmeno sanno che cosa accadde. Per questo motivo non mi riconosco particolarmente nella generazione “ammazzata di botte”.

La mia è una generazione che ha vissuto lo stacco tra quello che noi tutti ci aspettavamo dalla vita, essendo cresciuti negli anni ’90 e avendo avuto come riferimento il modello della generazione adulta, e la situazione che ci siamo trovati a dover affrontare una volta cresciuti. Ci siamo finalmente affacciati nel mondo del lavoro e abbiamo scoperto che era tutta un’altra cosa: non esistevano più tutte quelle garanzie di stabilità. Ci siamo trovati smarriti. La nostra è una generazione le cui aspettative sono state tradite, sicuramente di più rispetto alle altre.

Il Senato ha di recente sospeso l’esame sul disegno di legge del reato di tortura. Pensi che il fumetto e l’ironia possano mettere in luce la questione della tortura in Italia, che ancora oggi, nonostante le denunce della Corte di Strasburgo, non è ancora stata qualificata come reato?

Sono uno che pensa che su questi temi non ci sia bisogno dell’ironia o di cose simili, il problema è che servono delle leggi e questo non è compito dei fumettisti. Il compito della narrazione è anche quello di formare un immaginario collettivo, che sicuramente aiuta alla nascita di prese di posizione collettive. Sto parlando dei narratori in generale, io faccio cose anche molto più sceme.

Al G8 vennero anche i leader Alexis Tsipras e Pablo Iglesias, tra gli altri. Quali furono i motivi che spinsero te a venire da Roma al G8? 

Io avevo solo 17 anni e a noi il G8 sembrò l’appuntamento che un grande movimento plurale si era dato per richiedere pubblicamente l’applicazione dei grandi principi di giustizia sociale nel mondo. Quel vertice ci sembrava uno scenario dove poter esprimere le nostre istanze, ad oggi posso dire che c’era anche molta ingenuità in quella lettura. A quell’età venni fomentato anche da una situazione che era evidentemente molto conflittuale, lo dico senza alcuna ipocrisia.

Si può ancora parlare di commitment politico tra i giovani d’oggi?

Credo che siano cambiate le forme, non penso che le persone siano meno interessate o meno impegnate politicamente. Semplicemente, in molti non si riconoscono più in alcuni contesti, come gli spazi occupati o i centri sociali, ad esempio. E forse non si è ancora riusciti ad intercettare quali siano le forme adatte a questo momento storico.

Il G8 ha avuto un ruolo cardine nell’affermazione dei media indipendenti. Quale influenza ha avuto nel fumetto e viceversa?

Molti dei fumettisti con cui mi sono trovato a lavorare negli anni successivi al G8 hanno avuto qualcosa da raccontare su Genova, come Alessio Spataro o Claudio Calia. Molti di loro, anche se non erano presenti alle manifestazioni, hanno deciso di dare un loro contributo a fumetti. Mi viene in mente l’antologia “Ge vs G8”, tutta a fumetti, con i lavori di tanti fumettisti italiani. Il G8 ha messo in moto un sacco di narratori, non solo fumettisti, ma anche videomaker, sceneggiatori e reti di giornalisti indipendenti, come Indymedia all’epoca.

Molti tuoi coetanei hanno definito il G8 come una “trappola”, che è anche il titolo di un famoso documentario. Amnesty International, invece, come la più grave sospensione dei diritti umani in Occidente, dopo la seconda guerra mondiale. 

Sulla questione della “trappola” sono molto combattuto. ll G8 è stato sicuramente uno spartiacque gigantesco per l’Italia, per la mia generazione e per le vite di ciascuno di noi. Sembrava che alcune cose fossero state programmate e che ci fosse una regia dietro al comportamento delle forze dell’ordine, e in questo senso potrebbe sembrare una trappola. Ma non lo ridurrei a questo.

In realtà quelle del G8 furono giornate molto intense, che ci hanno reso quello che siamo oggi, anche in positivo. È stata un’esperienza, tanto in positivo come in negativo, molto formativa.

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