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Sono una ragazza e faccio la pastora in una zona terremotata

Immagine di copertina

Francesca Leli vive in un comune abruzzese dove alleva i suoi animali nonostante le difficoltà provocate dal sisma. A TPI racconta la sua storia

“Cerè, cerè, cerè!”, grida Francesca ai suoi animali. Brandendo un bastone li esorta a seguirla lungo il sentiero, aiutata dai fedelissimi amici Border Collie pronti a tenere compatto il gregge.

Francesca Leli ha 26 anni ed è una pastora abruzzese di Mascioni, una frazione di Campotosto, in provincia dell’Aquila. Il comune in cui vive si trova a pochi chilometri da Amatrice ed è tra le tante zone duramente colpite dai terremoti del 24 agosto 2016 e del gennaio 2017.

Le capre si spingono a brucare l’erba fino alle sponde del lago di Campotosto, simbolo del paese, da sempre meta turistica. Si tratta del secondo bacino artificiale più grande d’Europa e, dopo il sisma, è stato quasi del tutto svuotato per precauzione a causa di una faglia attiva nelle vicinanze.

“Ci mancava solo questo, no?”, ironizza Francesca. “Sono una ragazza e faccio l’allevatrice in una zona terremotata, mi chiamano la pastora o l’Heidi di Mascioni”.

È una ragazza dalle guance cotte dal freddo invernale e dal sole estivo, snella ma muscolosa, che non fatica a spostare da sola balle di fieno e a governare un enorme gregge. Ogni giorno si sveglia all’alba, nutre e munge i suoi 400 capi tra capre e pecore, pulisce le lettiere in stalla e si reca al pascolo quando la stagione lo consente.

“Quella mattina del 18 gennaio ci ha cambiato la vita”, racconta a TPI. “Sono uscita con le ciaspole, affrontando una bufera di neve senza precedenti in Abruzzo. Volevo vedere con i miei occhi cosa fosse successo in azienda. Non potevo aspettare i soccorsi, dovevo andare. La stalla era completamente sommersa. A fatica, sono riuscita ad entrare scavando nel freddo”.

(Credit: Janny Pacini. L’articolo continua dopo la foto)

“Gli animali, fortunatamente, stavano bene”, dice Francesca. “Quando ho iniziato la mungitura sono stata colta alla sprovvista dalle scosse di terremoto. Una dopo l’altra. I mattoni forati si distaccavano dal tetto e cadevano a pioggia sulle bestie che, terrorizzate, si stringevano sempre di più, calpestandosi a vicenda. Ero bloccata, fuori metri e metri di neve, dentro l’inferno. Alcune pecore sono morte, altre per lo shock hanno abortito gli agnelli che avrei dovuto vendere a Pasqua”.

Sono trascorsi mesi dal disastro che si è abbattuto sull’Abruzzo e centinaia di agricoltori e allevatori sono ancora in grande difficoltà. Drammatici i numeri della terribile abbinata sisma-maltempo segnalati da Coldiretti: 52 milioni di euro i danni indiretti subiti, 10mila animali morti, migliaia di posti di lavoro a rischio, con un crollo del 90 per cento del mercato locale provocato dalla crisi del turismo e dallo spopolamento dovuto all’esodo forzato.

Il crack delle vendite dei prodotti tipici ha colpito maggiormente i formaggi e i salumi, anche in ragione del fatto che nelle zone terremotate è molto radicata l’attività di allevamento. “A rischio c’è un patrimonio di specialità conservate da generazioni, dal pecorino di Farindola a quello Amatriciano, dai salumi teramani alla caciotta abruzzese, dalla mortadella di Campotosto al caciofiore aquilano fino alla ventricina teramana”, spiega Francesca.

Le realtà economiche esistenti a Campotosto sono allo sbando e cercano da sole di trovare soluzioni per rialzarsi. È tanta la paura per il futuro, ma sicuramente è equiparabile alla tenacia e alla voglia di rimanere sul campo a combattere. Francesca possiede un laboratorio per la trasformazione del latte a Mascioni. Qui, con l’aiuto di mamma e papà, produce pecorino e ricotta.

(Credit: Janny Pacini. L’articolo continua dopo la foto)

A maggio 2017, a mesi di distanza da quanto accaduto in Abruzzo, il laboratorio e la sua stessa abitazione non sono ancora utilizzabili per pericoli esterni. Accanto al laboratorio infatti c’è una casa pericolante, danneggiata dal sisma, che non rende sicuro l’accesso. “È un problema serio perché andare a lavorare significa rischiare la vita”, sottolinea Francesca. Con il blocco della trasformazione tantissimo latte verrà sprecato. 

A rallentare la ripresa, ci si mette anche la burocrazia che, per gli allevatori come Francesca, uccide più del terremoto perché dilata le tempistiche e si rivela una zavorra per la ripartenza delle aziende in crisi. E poi c’è l’assenza di turismo: “Prima del sisma, il nostro punto vendita aziendale era la tappa di un percorso classico che il visitatore intraprendeva per poi scendere ad Amatrice. Oggi, tutto questo non c’è più. In assenza di ricettività e servizi, i piccoli centri si sono svuotati: ora esistono tante zone rosse abbandonate”. 

Ma l’Heidi di Mascioni non si arrende e guarda al futuro: “Siamo gente di montagna che da secoli, su queste terre scomode, ha saputo creare una cultura, lottando per sopravvivere in un ambiente ostile. Non vogliamo assolutamente andarcene, chiediamo che vengano garantite le condizioni per restare”. 

Adesso che la neve si è sciolta e i prati montani si sono inverditi, la pastora segue il richiamo della primavera che incalza, incamminandosi ogni giorno verso gli alti pascoli con le sue pecore e le sue capre.

(Credit: Janny Pacini)

— Leggi anche: Sono un’imprenditrice, giovane e nera, e ho recuperato le terre che voi italiani avete abbandonato
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