Ex penicillina Roma, il comitato: “Lo sgombero non ha risolto nulla. Serve la bonifica”. Quale futuro per la fabbrica abbandonata?
Il Comitato nuova penicillina chiede la requisizione dell'immobile, la bonifica e la riqualificazione a fini sociali. Il punto a pochi giorni dallo sgombero:
Ex penicillina Roma bonifica | Comitato Nuova Penicillina
Dopo lo sgombero dell’ex penicillina del 10 dicembre quale futuro attende l’area vecchia fabbrica abbandonata nel quartiere di San Basilio, a Roma? È il problema che si è posta l’assemblea pubblica tenutasi venerdì 14 dicembre nell’ex hotel occupato di via Tiburtina 1064, proprio accanto all’ex fabbrica.
L’assemblea, intitolata “Costruiamo dal basso la Nuova Penicillina” è stata organizzata dal Comitato Nuova Penicillina insieme al sindacato Asia Usb (Associazione Inquilini e Abitanti), che già a novembre scorso avevano chiesto l’evacuazione dell’edificio e una soluzione abitativa per le centinaia di persone senza fissa dimora che vivevano al suo interno (qui il reportage di TPI.it da dentro l’ex penicillina prima dello sgombero).
“Dopo lo sgombero la situazione interna oggettiva dell’ex penicillina non è cambiata, salvo per quei disperati che erano costretti a vivere al suo interno”, ha detto Cristina Mazzuccoli, del Comitato Nuova Penicillina.
“Abbiamo organizzato questo incontro con i cittadini di San Basilio per spiegare qual è il problema, ma anche per parlare delle potenzialità dell’ex penicillina in un quartiere in cui mancano case popolari, servizi e lavoro, ad oggi invaso solo da locali, bingo e casinò”, ha aggiunto.
Il Comitato Nuova Penicillina punta ad attivare “un percorso partecipato dal basso per bonificare e riqualificare la penicillina”, trasformando quella che ad oggi è ritenuta una “bomba ecologica” in uno strumento riscatto sociale per una delle periferie più disagiate della capitale.
Dal momento che la questione dell’ex fabbrica abbandonata intreccia diverse tematiche, da quella ambientale a quella urbanistica e sociale, sono stati invitati a parlarne docenti di varie materie oltre a rappresentanti di associazioni che si sono occupati di questo luogo negli ultimi anni.
Ex penicillina: la storia
Il professor Andrea Turchi, ex docente di chimica ed esperto di storia della scienza, ha ripercorso la storia dell’ex fabbrica dall’inaugurazione, avvenuta nel 1950 con la presenza di Alexander Fleming, inventore della penicillina, fino ai giorni nostri.
La fabbrica “Leo Penicillina”, creata dall’imprenditore pugliese Giovanni Armenise, è la prima fabbrica privata di penicillina italiana e il più importante stabilimento a produrre questo antibiotico in Europa per almeno tre anni, fino al 1953.
In quell’anno muore Giovanni Armenise e la gestione della fabbrica passa al nipote, affiancato dai tecnici dell’impianto.
A metà degli anni Sessanta a lavorare nella fabbrica sono circa 1.500 persone, per lo più abitanti del quartiere.
All’inizio degli anni Settanta, tuttavia, l’azienda entra in crisi e i proprietari la vendono alla casa farmaceutica milanese ISF. In seguito gli americani della Smith-Kline & French (SKF) rilevano la fabbrica, promettendo investimenti che non arrivano.
Nel 1989 la società americana si fonde con la britannica Beecham (con la nuova sigla SKB), che però abbandona la produzione di antibiotici in Italia, limitandosi al confezionamento di farmaci prodotti all’estero. I lavoratori della fabbrica si riducono a poche centinaia.
Nel 1996 la fabbrica viene ceduta all’allora Direttore tecnico Domenico Chiaromonti, che esce dall’azienda nel 2003, anno in cui si ferma l’attività.
Un ultimo scampolo di produzione avviene nel 2006, per una linea sperimentale di produzione di una nuova cefalosporina, sotto il controllo produttivo della azienda multinazionale Patheon.
Dopodiché, la fabbrica viene lasciata nel totale abbandono.
Negli anni successivi la struttura è acquistata da un costruttore che punta a trasformarla in un albergo, ma il tentativo fallisce.
Con i lavori per l’ampliamento della Tiburtina, vengono abbattuti alcuni muri di protezione circostanti la fabbrica. Questo avrebbe agevolato l’occupazione della struttura da parte di centinaia di persone – italiane e straniere – senza fissa dimora.
Ex penicillina: la questione ambientale
Il professor Turchi ha fatto inoltre un punto sulle problematiche ambientali legate all’ex fabbrica, che ha visitato per una perlustrazione lo scorso giugno (qui la sua intervista a TPI.it).
“Non c’è solo l’amianto disgregato, ci sono i prodotti chimici, gli antibiotici, i residui di produzione”, spiega il professor Turchi. “C’è una quantità incredibile di reagenti chimici, come se avessero di fretta abbandonato la fabbrica lasciandoli lì, è incomprensibile”.
“Credo che sia una questione prioritaria chiedere un’ispezione tecnica certificata da parte degli enti preposti, Arpa e Asl. Loro devono certificare cosa c’è nella fabbrica”, sostiene Andrea Turchi. “Finora nessuno ha fatto un’analisi d’insieme o – se l’ha fatto – non l’ha relazionato”.
Per questi motivi non si può parlare di demolizione dell’ex fabbrica senza mettere in atto prima una bonifica, come chiede il Comitato.
Tuttavia il chimico ci tiene a sottolineare che l’ex fabbrica di penicillina non è solo un luogo pericoloso, è anche un luogo legato alla storia del quartiere San Basilio. Per questo auspica si possa conservare la memoria del posto.
Ex penicillina: la questione urbanistica
Non è un caso che l’ex fabbrica di penicillina si trovi a San Basilio, dove sorgono anche altri capannoni industriali abbandonati, come spiega Carlo Cellammare, docente di Urbanistica.
“La situazione dell’ex penicillina riflette tante altre situazioni della città e in particolare di questo settore urbano”, osserva il professor Cellammare. “San Basilio, come anche Tor Sapienza, è un quartiere scavalcato dallo sviluppo”.
“Sono quartieri diventati la parte industriale di Roma, qui si sono concentrati edifici industriali, collocati in un’area che all’epoca era fuori dalla città, quindi non era strutturata con un carattere residenziale”.
“Con lo sviluppo di Roma, la città ha scavalcato questi luoghi, ma mai all’interno di un disegno coordinato”, spiega Cellammare. “Poi parte dell’attività produttiva è stata spostata altrove e ha lasciato questo patrimonio di spazi abbandonati. Una volta questi erano i quartieri delle fabbriche, della cintura rossa, ma ora si sono trasformati profondamente nella loro identità. Oggi c’è una domanda molto forte di spazi verdi, servizi, attrezzature. Serve un progetto integrato, di cui questo quartiere ha davvero bisogno”.
Ma cosa può diventare oggi l’ex fabbrica di penicillina?
“Può diventare molte cose, il problema è: c’è la volontà di farlo diventare qualcosa?”, si chiede l’architetto Rossella Marchini. “Roma ha un piano ormai da tanti anni, ma è cresciuta secondo altre direttive, che sono quelle dell’interesse e della finanza. Hanno provato a trasformare l’ex penicillina in un albergo, ma la bonifica, lo smaltimento, la demolizione, hanno dei costi che nessun privato vuole affrontare. Per questo credo che vada portata avanti una lotta affinché questo luogo sia acquisito, bonificato e riqualificato a spese dell’amministrazione pubblica. Credo anche che quel luogo vada demolito, è difficile recuperarlo perché è stato abbandonato per troppi anni”.
Ex penicillina: la questione legale e sociale
L’avvocato Giuseppe Libutti, vicepresidente di “Attuare la Costituzione”, ha parlato degli aspetti legali connessi ai luoghi abbandonati da privati come l’ex fabbrica di penicillina.
“L’articolo 42 della Costituzione prevede che la proprietà privata è tutelata ‘allo scopo di assicurarne la funzione sociale’. Lasciare in stato d’abbandono un immobile, con la possibilità che ci siano anche rischi per i cittadini, rende necessario richiamare il privato alle proprie responsabilità”, ha dichiarato l’avvocato Libutti.
“Non dimentichiamoci che anche il codice civile prevede delle responsabilità per il proprietario che lasci un bene in stato di abbandono, ad esempio l’articolo 2053. C’è poi un procedimento ben preciso per la requisizione di un bene abbandonato dello Stato. Le soluzioni ci sono e devono essere trovate dall’amministrazione pubblica”, conclude il legale.
“Vorrei raccontarvi come la nostra associazione è arrivata all’ex fabbrica di penicillina”, dice Federica Borlizzi di Alterego – Fabbrica dei diritti. “Abbiamo iniziato a occuparci di accampamenti informali nella zona di San Basilio due anni fa. Su questo faccio una precisazione, perché la retorica di Salvini ha voluto accostare gli accampamenti informali alle occupazioni abitative”.
“Questo luogo in cui ci troviamo è un’occupazione abitativa degna, frutto della lotta degli abitanti. Gli accampamenti informali sono edifici completamente fatiscenti, dove le persone vivono in condizioni indegne. Non hanno scelto di andarvi e non vogliono rimanere lì”, prosegue Borlizzi.
“Siamo arrivati qui dopo lo sgombero molto violento avvenuto nel 2017 a via di Vannina, quando un ragazzo gambiano è rimasto senza la vista di un occhio a causa di una manganellata della polizia, vicenda sulla quale c’è un processo in corso”, spiega l’attivista.
“Questo ha portato 500 persone in strada, cui si sono aggiunte le persone sgomberate da via Raffaele Costi e, in parte, anche quelle del Baobab. A via Costi c’erano 30 bambini, di cui solo 3 o 4 andavano regolarmente a scuola. Nell’ex penicillina parliamo di una composizione molto eterogenea: c’erano italiani, persone dell’est Europa, tantissimi migranti africani”.
“La maggior parte erano stati cacciati dai centri di accoglienza, alcuni con revoca dell’accoglienza anche per futili motivi, molte le donne vittime di tratta, molti erano stati resi irregolari dalle pratiche illegali messe in atto dalla Questura Ufficio immigrazione di Roma”, spiega Borlizzi.
“Per rinnovare il permesso di soggiorno, ad esempio, non serve la residenza, cosa che invece la questura richiede. Quando metti una persona in questa condizione di ricattabilità la stai di fatto consegnando come manodopera alla criminalità organizzata”, osserva l’attivista.
“Quello di lunedì è stato uno sgombero-farsa. Dentro l’edificio erano rimaste 34 persone, di cui due donne, due invalidi, di cui uno con la gamba amputata, e alcune altre persone con problemi mentali. Queste persone sono state prese, portare in questura, e stiamo ancora avendo problemi a capire dove sono andate a finire”.
“Le altre 100 persone che erano uscite prima dall’immobile sono state accolte dalla sala operativa sociale, non sappiamo per quanto tempo. Rischiano di essere prese in carico, parcheggiate per uno o due mesi e poi rimesse in strada, senza aver cambiato la propria situazione”.
“Ma la cosa più grave è che per fare un tweet hai avuto 400-450 persone che si sono spostate di 150 metri, andando ad occupare un’altra fabbrica dismessa del quartiere”, conclude l’attivista.