Il misterioso caso di Ettore Majorana, il grande fisico scomparso nel nulla
Ettore Majorana, genio della fisica che Enrico Fermi paragonava a Netwton, fece perdere le sue tracce nel 1938. Il mistero della sua scomparsa, in 80 anni, non è mai stato risolto
Lunedì 26 marzo 2018, su Sky Arte, è andato in onda il documentario “Ettore Majorana – L’uomo del futuro”, diretto da Francio Mazza. Il giornalista Federico Buffa ha narrato la vicenda della scomparsa del grande fisico, avvenuta nel 1938.
Martedì 27 marzo, alle ore 21 su Sky Cinema Cult, è stato invece trasmesso il film “Nessuno mi troverà”, anche questo incentrato sulla misteriosa sparizione di Majorana.
Si tratta di un caso, quello della scomparsa del fisico catanese considerato un genio assoluto persino da Enrico Fermi, che ha visto susseguirsi nel corso degli anni ipotesi, leggende metropolitane, presunti avvistamenti, di cui si sono occupati registi, scrittori come Leonardo Sciascia, e che a distanza di 80 anni resta uno dei più grandi misteri irrisolti della storia italiana.
Chi era dunque Ettore Majorana, perché sparì nel nulla tra il 26 e il 27 marzo del 1938 e soprattutto, che fine fece?
Chi era Ettore Majorana
Nato a Catania il 5 agosto 1906, Ettore Majorana proveniva da una famiglia di intellettuali: il nonno, Salvatore Majorana, era stato deputato e senatore nelle fila della sinistra storica, e aveva ricoperto la carica di ministro dell’Agricoltura nel governo Depretis.
Già da piccolissimo Ettore aveva mostrato straordinarie doti matematiche: a cinque anni era in grado di svolgere calcoli molto complessi e si appassionò prestissimo alla fisica. All’età di 18 anni si era iscritto alla facoltà di Ingegneria a Roma, dove nel frattempo la sua famiglia si era trasferita.
Tre anni dopo, però, in seguito a un incontro con Enrico Fermi, professore di fisica teorica, decise di passare alla facoltà di Fisica. Proprio il passaggio a questa facoltà portò Majorana a frequentare l’istituto di fisica di via Panisperna, una strada del rione Monti a Roma sede di un centro in cui studiavano le più grandi menti della fisica italiana di quel tempo, noti appunto come “i ragazzi di via Panisperna”.
Fu proprio Enrico Fermi, successivamente premio Nobel per la fisica nel 1938, a fare da relatore a Majorana per la tesi di laurea. Fermi era letteralmente estasiato dalle qualità di quel giovane siciliano, che definiva “un genio come Galileo e Newton” e che, secondo quanto si racconta, era in grado di svolgere a mente complicatissime operazioni che lo stesso Fermi scriveva su una lavagna.
A soli 31 anni Majorana ottenne la cattedra di professore all’università di Napoli “per chiara fama”, dopo aver svolto alcune esperienze di studio all’estero alcune delle quali, come vedremo, daranno vita a una delle tante ipotesi sulla sua successiva scomparsa.
Come molti geni, Majorana aveva un carattere sui generis: schivo, introverso, refrattario alle relazioni sociali e al lavoro di gruppo anche all’interno dell’istituto di via Panisperna, dotato di straordinaria sensibilità e di conseguenza facilmente impressionabile e incline al turbamento.
Sempre Fermi disse una volta di lui: “Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha. Sfortunatamente, gli mancava ciò che è comune trovare negli altri uomini: il semplice buon senso”.
La scomparsa
Nel 1938, Majorana aveva da poco ricevuto l’incarico di professore a Napoli. Il 25 marzo di quell’anno prese un traghetto dal capoluogo campano in direzione di Palermo. Subito prima, scrisse due lettere ad Antonio Carrelli, direttore dell’istituto di Fisica sperimentale di Napoli.
In una delle due missive Majorana scriveva: “Caro Carrelli, ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti”.
Un’altra lettera inviata da Majorana ai genitori sempre in quei giorni conteneva invece queste parole: “Ho solo un desiderio, che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi”.
Dalla lettura di queste due missive emergeva quindi chiaramente la volontà di sparire e, forse, di suicidarsi.
Il 26 marzo, verosimilmente da Palermo, Majorana inviò un altro telegramma a Carrelli, in cui esprimeva l’intenzione di tornare a Napoli il giorno successivo. Da quel momento, però, non si ebbero più sue notizie.
Una cosa che si sa per certa, però, è che prima di sparire Majorana prelevò dalla sua banca tutti gli stipendi che non aveva riscosso fino a quel momento. Un segnale in netta contraddizione con la presunta volontà suicidiaria, e che farebbe invece pensare alla pianificazione di una fuga.
L’ipotesi del suicidio
Nonostante questo, quella del suicido è rimasta nel corso degli anni una delle ipotesi più accreditate. Oltre al contenuto delle lettere, a supporto di questa tesi ci sarebbe appunto il carattere fortemente turbato del fisico catanese, che in particolare nell’ultimo periodo, quello napoletano, si era sempre più allontanato dai rapporti sociali e, secondo alcuni, viveva letteralmente recluso in casa.
Tuttavia, come detto, appare molto strano che una persona con questa intenzione prelevi una grossa somma di denaro appena prima di sparire.
L’ipotesi del ritiro monastico
Nel saggio “La scomparsa di Majorana”, lo scrittore Leonardo Sciascia sposò una delle tesi che circolavano sulla scomparsa del fisico catanese, ovvero quella secondo cui Majorana si sarebbe ritirato in un monastero, ipotesi in qualche modo suffragata anche dall’educazione cattolica che aveva ricevuto.
La scelta del ritiro monastico sarebbe stata determinata non solo dal carattere di Majorana e dallo stato di depressione in cui sarebbe caduto negli anni napoletani, ma anche dal suo orrore per l’intuizione che alcune delle teorie sviluppate dai ragazzi di via Panisperna avrebbero aperto la strada alla bomba atomica.
Una vera e propria crisi di coscienza, insomma, che avrebbe spinto Majorana a ritirarsi dal mondo. Nell’ipotesi di Sciascia, il convento in questione sarebbe stato quello di Certosa di Serra San Bruno, vicino Vibo Valentia in Calabria, nonostante i monaci di quel convento abbiano sempre negato di aver ospitato il grande fisico.
L’ipotesi della fuga in Argentina
Dopo essersi laureato, Majorana aveva trascorso un periodo di studi a Lipsia, in Germania, esprimendo ammirazione per l’organizzazione della società tedesca e, secondo alcuni, persino per il Terzo Reich.
Questo lo avrebbe spinto a collaborare con la Germania durante la seconda guerra mondiale e a rifugiarsi in Argentina, come molti altri esponenti del regime nazista, dopo la fine del conflitto.
L’ipotesi venne rafforzata da un fisico italiano in pensione, Ernesto Recami, che sostenne di aver visto Majorana in una casa di Buenos Aires negli anni ’60.
L’ipotesi della fuga in Venezuela
Nel documentario su Sky Arte si fa luce in particolare su una pista che è tornata di attualità dopo che, nel 2011, la procura di Roma decise di riaprire il fascicolo sulla scomparsa del fisico catanese e di indagare in particolare sulla pista venezuelana.
A sostegno di questa ipotesi ci sono in particolare la testimonianza di un emigrato italiano che sostenne di aver frequentato per diverso tempo Majorana in Venezuela negli anni ’50. Il fisico si sarebbe presentato a lui sotto il falso nome di signor Bini.
L’indagine fu archiviata nel 2015, sebbene nello stesso anno il reparto investigativo dei carabinieri avesse ritenuto probabile l’identificazione con Majorana di una persona che appare in una foto scattata proprio in Venezuela nel ’55.
I presunti avvistamenti a Roma negli anni ’80
Nel 2015, un uomo ha raccontato di aver visto negli anni ’80 Majorana a Roma, nel centro della città, in compagnia del fondatore della Caritas capitolina, monsignor Luigi Di Liegro.
Majorana, secondo questa testimonianza, in quel periodo viveva come un clochard. L’uomo che sostenne di averlo riconosciuto si occupava infatti proprio di assistenza ai senzatetto e collaborava con la Caritas.
Secondo questo testimone, sarebbe stato proprio Di Liegro a rivelargli l’identità di Majorana, che sarebbe poi stato ospitato in un convento. Il monsignore, però, si sarebbe sempre rifiutato di comunicare alla famiglia del fisico quanto sapeva.
L’uomo cane e Paolo Borsellino
Alcuni testimoni sostengono che nel 1942 a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, un barbone, che si faceva chiamare Tommaso Lipari, gli confidò di essere Ettore Majorana pregandolo di non rivelare il segreto “fino a 15 anni dopo la sua morte”.
Il clochard morì nel 1973 e, tenendo fede al patto, 15 anni dopo i suoi confidenti svelarono la circostanza a Paolo Borsellino, che a quel tempo era procuratore di Catania.
Secondo altre testimonianze questo senzatetto, che veniva chiamato anche “uomo cane”, era estremamente competente in matematica e fisica, oltre ad avere una cicatrice e altri tratti somatici perfettamente sovrapponibili con quelli di Majorana.
Si scoprì però durante l’indagine che un uomo chiamato Tommaso Lipari, che corrispondeva alla stessa descrizione, era stato in carcere nel 1948 a Favignana. Tramite un confronto calligrafico tra la sua firma e quella di Majorana venne escluso che si potesse trattare della stessa persona, e l’inchiesta venne archiviata.