Calabria, torturata dal compagno e appesa a testa in giù per 17 ore: “Non accettava i miei figli”
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Ha passato 17 interminabili ore appesa a testa in giù alla macchina per tostare le noccioline di un magazzino, dove l’aveva trasportata a forza il suo compagno, aiutato dai fratelli, cognati della vittima.
La sua “colpa” era quella di voler far rimanere con lei in casa i due figli avuti da una precedente relazione, che il compagno non tollerava.
È la terribile storia avvenuta a Vibo Valentia e che ha visto come involontaria e sfortunata protagonista una donna di 40 anni.
La donna ha raccontato quanto accaduto alla trasmissione Pomeriggio Cinque: “È iniziato tutto di sabato pomeriggio. Ero in casa sul divano e lui mi dice di andare a fare la spesa. A Vibo abbiamo incontrato i suoi due fratelli con un furgone. Mi hanno preso a calci e pugni e buttata nel veicolo”.
Da lì il trasporto nel magazzino, le sevizie durate 17 ore: “Dicevano che dovevo morire. Mi hanno perfino messo le mani dentro la bocca per tirarmi la lingua. Sono riuscita a sopravvivere pensando ai miei figli. Poi la domenica verso le 16 mi hanno slegato e mi hanno riportato verso casa”.
È proprio qui che la donna ha trovato i suoi salvatori, alcuni familiari e i carabinieri che erano stati allertati da uno dei figli, preoccupato per non aver visto rientrare a casa la madre.
Gli aguzzini, quindi, sono stati fermati in flagranza di reato, e dovranno rispondere ai reati di lesioni, sequestro di persona e, forse, anche di tentato omicidio.
“Ai carabinieri il mio compagno ha detto che ero stata aggredita per strada e che lui mi aveva salvato. Ma quando sono riuscita a parlare, ho rivelato tutto e ho indicato i luoghi dove ero stata chiusa”, ha raccontato la 40enne, che ha anche lanciato un appello a tutte le donne: “Al primo schiaffo, scappate”.