Cinque domande e risposte sullo sgombero dei rifugiati di piazza Indipendenza a Roma
Il 24 agosto la polizia ha sgomberato, usando manganelli e idranti, i rifugiati eritrei sgomberati il 19 agosto dal palazzo occupato di via Curtatone. Un po' di chiarezza su alcuni aspetti della vicenda
Il 19 agosto scorso la polizia ha iniziato lo sgombero dei rifugiati eritrei che vivevano nel palazzo occupato di Via Curtatone, piazza Indipendenza, a un passo dalla stazione Termini. L’apice dell'”operazione” è stato raggiunto il 24 agosto, quando i rifugiati sono stati mandati via dalla piazza antistante il palazzo con manganelli e idranti. Ma era davvero necessario arrivare a queste scene da guerriglia urbana? Perché in quattro anni, il palazzo era occupato dal 2013, non si era mai trovata una soluzione?
Intanto, scrive Monsignor Paolo Lojudice, vescovo ausiliare di Roma, “L’inadeguatezza del termine ‘sgombero’, usato per macerie e rifiuti e non adatto alle persone. Stiamo rivelando il vero volto delle nostre intenzioni: liberarci di qualcosa, o forse di qualcuno. Ma è pura illusione: quelle persone esistono, sono vive, in carne e ossa, respirano, mangiano: sono come noi, come me come tutti. L’unica differenza è che sono nate nel posto sbagliato, sono cresciute nel posto sbagliato e, purtroppo, non vorrei dirlo, sono ‘arrivate’ nel posto sbagliato”.
Tutto è iniziato sabato 19 agosto 2017, quando il palazzo viene sgomberato la prima volta. In quel palazzo abitavano richiedenti asilo e rifugiati provenienti da Eritrea ed Etiopia. Centinaia di persone che vivevano lì sono state portate fuori dai poliziotti che hanno fatto irruzione nel palazzo, insieme a tutti i loro averi, e da ormai quattro giorni vivono per strada, senza alcuna alternativa. La situazione è degenerata il 24 agosto all’alba, quando i poliziotti hanno sgomberato “gli sgomberati” che si trovavano nella piazza antistante il palazzo.
Le immagini dei poliziotti che caricano i rifugiati, alcuni mentre stavano ancora dormendo, i racconti delle donne che abitavano nel palazzo, restituiscono il solito senso di inadeguatezza di un’Italia che non ha la minima idea di come affrontare le cose, in particolare in tema di protezione internazionale.
“Se tirano qualcosa, spaccategli un braccio”, ha detto un poliziotto, impegnato nel mettere alla fuga le famiglie eritree. Molti, tra i quali Luigi di Maio, hanno sminuito quella frase, ma lo stesso capo della polizia Franco Gabrielli ha definito quella frase “grave”. “Quindi avrà delle conseguenze. Abbiamo avviato le nostre procedure interne e non si faranno sconti. Questo deve essere chiaro”, ha spiegato.
Grande polemica si è fatta sugli idranti, il cui utilizzo è stato mostrato in foto e video di una disumanità disarmante. “Quel mezzo è stato usato dalla Questura per evitare che le bombole di butano lanciate dal decimo piano dagli occupanti si incendiassero e scoppiassero. Lo stesso Dipartimento di pubblica sicurezza era informato dell’utilizzo dell’idrante”, anche se gli idranti, secondo quanto riferiscono i testimoni, sono stati utilizzati ben prima che comparissero le bombole di gas ai balconi, tre secondo i video della polizia.
Secondo quanto riferiscono i media e gli attivisti coinvolti nella questione, ai rifugiati e ai richiedenti asilo di via Curtatone, dopo lo sgombero state offerte dei posti in due diverse strutture Sprar a Torre Maura, e altri 80 in delle villette a Rieti di proprietà degli stessi che possiedono anche il palazzo di via Curtatone. Entrambe le proposte sono state rifiutate. Molti degli occupanti erano già ben integrati nel quartiere, con un lavoro e con dei figli che frequentano regolarmente le scuole.
Molti altri erano invece già titolari di protezione internazionale o status di rifugiato, ragion per cui i posti Sprar non erano adatti a loro. Non è chiaro se delle soluzioni, e quali, fossero state prospettate a queste famiglie prima di arrivare all’estrema “soluzione finale”.
La notizia più recente è quella secondo la quale nella mattinata del 25 agosto l’amministrazione capitolina ha trovato una nuova soluzione per accogliere i migranti in condizioni di maggior disagio dall’immobile sgomberato in via Curtatone. Il Campidoglio, a quanto riferisce l’Ansa, ha firmato un accordo con la società Sea, che gestisce l’immobile di via Curtatone, per mettere a disposizione sei unità immobiliari che consentiranno di accogliere circa 40 persone con fragilità per un periodo di 6 mesi senza alcun onere finanziario per l’amministrazione.
La prefetta di Roma, Paola Basilone, in un’intervista al Corriere della Sera, ha giustificato lo sgombero dicendo che vi era “una denuncia dei proprietari e perché c’erano stati diversi provvedimenti di sequestro mai ottemperati. Quel palazzo era nella top list dei 15 palazzi da sgomberare”.
“Il palazzo è stato sgomberato senza torcere un capello a nessuno”, ha detto ancora. Eppure i resoconti di Medici Senza Frontiere, immediatamente intervenuti sul posto, raccontano altro, parlando e mostrando le foto di alcuni feriti. E ha poi aggiunto che “adesso il Comune deve fare la sua parte e, insieme agli altri soggetti, assistere i rifugiati come è stato deciso, e ci è stato assicurato proprio dal Campidoglio, nei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica”.
“Dopo la prima carica le donne sono tornate nei giardini. Piangevano disperate, temevano di finire in strada e di non riuscire a trovare un’altra sistemazione. Mi sono avvicinato a una di loro e l’ho accarezzata per rassicurarla che le avrebbero trovato un posto dove stare. I miei colleghi, anche se nelle immagini non si vede, hanno fatto lo stesso. Spero che quella signora stia bene e abbia un tetto sulla testa. Mi piacerebbe incontrarla per sapere che si è rasserenata”, ha raccontato al Corriere della Sera il poliziotto immortalato mentre stringe tra le mani una donna in lacrime.
Sull’Huffington Post parla invece Genet, la protagonista femminile dell’immagine: “La usano per mostrare la faccia bella di questa storia, ma la verità è che la polizia ci ha spruzzato l’acqua addosso. Siamo stati buttati via come una scarpa vecchia”.
“Per cinquantacinque anni gli italiani sono stati in Eritrea, ma non gli abbiamo fatto quello che ci state facendo voi italiani. Non abbiamo neanche lo spazio per seppellirci”, dice ancora.