“Perquisiti come ladri all’uscita dal lavoro”: la denuncia dei dipendenti di Rinascente
A quattro mesi di distanza dalla sua inaugurazione, numerosi impiegati della nuova sede della Rinascente a Roma raccontano di diversi controlli al limite della violazione della privacy che si verificano con regolarità
Il 12 ottobre del 2017 è stata inaugurata la nuova Rinascente di Roma, in via del Tritone. Una vera e propria istituzione storica tra i grandi magazzini in Italia.
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Alla festa di inaugurazione di novembre presero parte anche il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, e la sindaca di Roma, Virginia Raggi.
“Con questo grande store la città finalmente compete con altre grandi capitali europee e internazionali. Ricordiamo che sono 700 posti di lavoro e questo ci rende orgogliosi”, affermava la sindaca Raggi.
A quattro mesi di distanza dalla nascita, numerosi dipendenti hanno deciso di parlare con TPI, denunciando una situazione al limite della violazione della privacy: la Rinascente di Via del Tritone a Roma perquisisce i dipendenti all’uscita dal lavoro.
A denunciare il fatto anche i sindacalisti della Usb, l’Unione sindacale di base.
“La security pretende che i lavoratori aprano le borse e gli zaini prima di uscire dal lavoro, spingendosi anche a frugare tra gli effetti personali dei dipendenti”, scrive Francesco Iacovone, sindacalista di Usb.
“Tali pratiche sarebbero giustificate, peraltro a campione, solo in presenza di accordi sindacali o della competente Direzione Territoriale del Lavoro, che all’USb non sono mai stati mostrati. Non solo: viene anche violata la privacy, perché queste procedure illegali vengono effettuate davanti agli altri lavoratori”.
Ma le denunce, in forma anonima, arrivano dagli stessi dipendenti: “a me è capitato tre volte in un mese e mezzo. Dato che volevo capire, un giorno ho chiesto a una addetta alla sicurezza ‘come avvengono i controlli’, la quale mi ha risposto ‘a tutti e a tutto’, frase abbastanza indicativa”, racconta a TPI un dipendente di un corner esterno presso la Rinascente.
“Se vuoi fare dei controlli a campione va bene, ma se, come me, controlli tre volte in un mese e mezzo, qualcosa non torna. Anche perché la terza volta ero in presenza di altri colleghi e passare per ladro non è che mi va tanto”, spiega il dipendente.
“Dopo un turno di lavoro, che si conclude alle 23, non solo hai passato nove ore lì dentro ma trovi la fila per uscire perché ti devono controllare. Magari il tuo unico desiderio è andare a casa perché sei stanco/a”.
“Controllano continuamente le borse con verifiche random: se porti una valigia, una shopping bag o una borsa ti chiedono sempre di aprirla”, racconta un’altra dipendente.
La quale continua dicendo, “spesso rovistano anche dentro. Io mi rifiuto ogni volta. Dovrebbero sapere che non posso farlo. Io non apro la borsa a nessuno. Loro lo sanno che è una cosa che non si può fare. Se ne approfittano con chi conosce i propri diritti”.
Cosa dice la giurisprudenza
Ci siamo avvalsi del supporto di Carlo Guglielmi, avvocato, giuslavorista, presidente del forum diritti lavoro, per chiarire i contorni legali della vicenda.
All’articolo 6 dello statuto dei lavoratori – “Visite personali di controllo” – vengono disciplinate le visite di controllo personali.
“Queste visite possono essere fatte quando sono indispensabili. Non se si può risolvere il problema con delle telecamere di controllo. Poi possono essere fatte solo all’uscita e con modalità che salvaguardino la dignità dei lavoratori, che avvengano con sistemi di selezione automatica dei lavoratori, di modo che non vengono controllati sempre gli stessi e con delle modalità stabilite da un accordo collettivo sindacale”, spiega l’avvocato.
“Con l’andare avanti dei decenni la dignità sul lavoro si è andata perdendo anche secondo l’interpretazione della magistratura. La giurisprudenza ha cominciato a distinguere i controlli corporali da quelli degli oggetti personali”.
“Questo però non rende legittimo quello che accade alla Rinascente”, prosegue Guglielmi.
“L’ articolo 2 della legge sulla privacy dice espressamente che tutti hanno diritto alla tutela dei dati personali e che qualunque trattamento si svolge nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali”, precisa l’avvocato.
“Il dipendente, lo chiarisce la Cassazione, non può mai essere costretto a subire un’ispezione. Gli unici soggetti che sono autorizzati ad effettuare un’ispezione sono gli ufficiali di polizia giudiziaria.
Se il controllo era legittimo, il rifiuto di farsi controllare può essere sanzionato disciplinarmente. Se non lo era, allora nessuna sanzione può essere applicata”.
Il problema è che se il controllo era o meno legittimo viene deciso dopo dal magistrato, quindi il lavoratore che dice no si assume il rischio.
“Per questo motivo – conclude l’avvocato – è indispensabile che ci sia una procedura, chiara, certa e concordata con le sigle sindacali. Solo questo può dare quel minimo di garanzie per cui il lavoratore sa cosa è legittimo e cosa non lo è”.