Che differenza c’è tra mafia e associazione a delinquere
La risposta a questa domanda non è banale, e permette di comprendere meglio il dibattito sulla sentenza nel cosiddetto processo per Mafia Capitale
Il 20 luglio 2017 il tribunale di Roma ha emesso le sentenze di primo grado per gli imputati del cosiddetto processo per Mafia Capitale, tra cui anche Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, che sono stati condannati rispettivamente a 20 e 19 anni di carcere.
Con la sentenza di primo grado è caduta l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso sostenuta dai pm e questo ha portato a condanne più basse di quelle proposte inizialmente – 28 anni di carcere per Carminati e di 26 anni e 8 mesi per Buzzi.
Per conoscere le motivazioni che hanno spinto i giudici a far cadere l’impianto accusatorio dovremo ancora attendere. Di sicuro sappiamo che nel caso specifico di questo sodalizio tra imprenditori, amministratori e criminali romani, i magistrati non hanno ritenuto sussistenti gli elementi della fattispecie descritti all’articolo 416-bis del codice penale, che regola l’associazione di tipo mafioso.
Piuttosto la loro organizzazione criminale è stata fatta rientrare nella più generica associazione per delinquere disciplinata dall’articolo 416 del codice penale.
Ma quali sono le differenze tra i due tipi di reati?
L’articolo 416 del codice penale prevede che perché si configuri un’associazione per delinquere occorre ci siano almeno tre persone, associate allo scopo di commettere più delitti. Le pene sono rese più dure se l’associazione mira a commettere alcuni tipi di delitti e variano a seconda del ruolo che l’individuo ricopre nell’organizzazione.
Perché si tratti invece di un’associazione di tipo mafioso – per la quale sono previste pene più gravi – occorre che si faccia ricorso al cosiddetto metodo mafioso per il perseguimento di alcuni scopi specifici.
Il metodo mafioso
Questo metodo è formato da tre elementi: la forza di intimidazione del vincolo associativo, la condizione di assoggettamento e la condizione di omertà.
Questi tre elementi devono necessariamente coesistere affinché l’associazione di tipo mafioso possa ritenersi configurabile. L’assoggettamento infatti deve derivare proprio dall’intimidazione prima citata e deve manifestarsi anche come omertà, cioè rifiuto di collaborare con le istituzioni.
Il legislatore fornisce una definizione astratta di questa metodologia (cioè senza elencare gli eventuali delitti) perché già la messa in atto di questa condotta, indipendentemente dall’effettiva realizzazione di delitti, è ritenuta un disvalore: l’associazione è di per sé fenomeno penalmente rilevante.
Con forza di intimidazione si intende l’acquisizione da parte del gruppo criminale di una sufficiente fama o notorietà di violenza e capacità di sopraffazione, idonea a incutere, anche ove non tradotta nell’esteriorizzazione di atti violenza, timore nei confronti degli altri.
L’intimidazione deve produrre una condizione di assoggettamento, vale a dire un’influenza significativa e non occasionale sulla generalità dei consociati, che si traduce in sudditanza psicologica e preclusione nello svolgere le comuni attività imprenditoriali, economiche, politiche.
L’omertà, infine, consiste nell’accettazione delle regole di soggezione e non collaborazione, e si configura solo se è talmente diffusa da non riguardare il singolo, bensì il tessuto sociale in cui l’organizzazione criminale si è infiltrata.
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Le finalità dell’associazione di tipo mafioso
L’articolo 416-bis prevede che affinché si tratti di un’associazione di tipo mafioso occorre che i suoi componenti si associno allo scopo di:
• commettere delitti;
• acquisire in modo diretto o indiretto della gestione o del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici;
• realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri;
• impedire o ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
Gli ultimi tre atti – non qualificabili come delitti di per sé – diventano penalmente rilevanti se associati al metodo mafioso.
Nelle sue sentenze, la Corte di Cassazione ha stabilito che è sufficiente il sussistere anche di una sola delle quattro finalità previste affinché il reato possa configurarsi. Non è necessario che questi scopi siano effettivamente raggiunti.
Il dolo specifico
Infine, affinché si tratti di un’associazione di tipo mafioso, la Corte di Cassazione ha chiarito che occorre che i suoi componenti agiscano non con un dolo generico ma con dolo specifico.
Questo vuol dire che non solo devono avere la coscienza e volontà di apportare il contributo richiesto dalla norma incriminatrice, ma devono anche avere la consapevolezza di partecipare e di contribuire attivamente con esso alla vita di un’associazione e per la realizzazione di un programma comune, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo.
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