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Diciotti, la bufala sui migranti che ballano “Waka Waka”: il video è del 2017

Immagine di copertina
Un fermo immagine del video-bufala

A precisarlo, in un'intervista a Repubblica, è il responsabile delle relazioni esterne della Guardia Costiera

Sabato 25 agosto, sui social, è stato diffuso un video diventato immediatamente virale. Vi si vedevano alcuni migranti intenti, secondo l’autore del tweet, a ballare “Waka Waka” (la famosa canzone di Shakira) a bordo della nave Diciotti.

Un filmato che, secondo chi lo ha messo in circolo, dimostrerebbe come le condizioni a bordo della nave fossero tutt’altro che critiche.

Sulla questione è intervenuto, in un’intervista a Repubblica, il capitano Cosimo Nicastro, responsabile delle relazioni esterne della Guardia Costiera.

“Il video si riferisce a una missione del 2017, sempre a bordo della Diciotti”, ha precisato Nicastro.

Come ha evidenziato Repubblica, nel video ci sono diversi particolari incongruenti, come ad esempio il portellone della nave, di colore bianco nel filmato e nero nelle immagini riferite allo sbarco dei migranti di questi giorni.

La fake news, come spesso accade in questi casi, si è però diffusa in maniera rapidissima e incontrollata. Moltissimi i commenti indignati al tweet da parte di utenti contrari allo sbarco dei migranti sul suolo italiano.

Cosimo Nicastro ha affermato di avere dubbi anche sul montaggio del video. La melodia di “Waka Waka” potrebbe infatti essere stata inserita in post-produzione, in maniera quindi posticcia.

Non è certo il primo caso in cui circolano bufale sui migranti.

Una delle ultime in ordine di tempo è dello scorso 9 agosto, quando Il Giornale di Vicenza ha diffuso la notizia di alcuni richiedenti asilo che avevano organizzato una protesta per ottenere un abbonamento a Sky.

Secondo il quotidiano, l’episodio si era verificato nel centro culturale San Paolo in via Carducci, a Vicenza, gestito dalla cooperativa Cosep. I quindici migranti ospitati si sarebbero rivolti alla questura per vedere soddisfatte alcune richieste, a cui non era stato dato seguito.

In quel caso è stato Fabio Butera, giornalista di Repubblica, a svelare per primo che si trattava di una bufala.

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