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Cosa dicono davvero i dati sui reati degli immigrati in Italia

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Credit: Darrin Zammit Lupi

Nonostante i dati li smentiscano, gli italiani restano uno tra i popoli più spaventati dagli stranieri in Europa. Ecco alcune cause di questo fenomeno

L’attenzione mediatica di questi giorni (e di questa campagna elettorale) è quasi completamente assorbita dal tema dell’immigrazione.

Il 4 febbraio 2018 Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, ha dichiarato che i “600mila immigrati clandestini sono una bomba sociale pronta a esplodere, perché vivono di espedienti e di reati”.

Questa notizia puoi leggerla direttamente sul tuo Messenger di Facebook. Ecco come

Tra chi propone la regolarizzazione di tutti e chi invita a correre ai ripari per i rischi alla sicurezza, i politici italiani hanno certamente centrato un nervo scoperto nell’opinione pubblica.

Secondo il Rapporto dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza del 2017, infatti, in Italia “lo straniero è considerato, da una componente significativa di cittadini, come un pericolo per la sicurezza individuale e una minaccia per l’occupazione.”

Leggi anche: Elezioni italiane: che cosa dicono i programmi dei partiti sull’immigrazione

Si tratta di un timore in continua crescita: il 39 per cento degli intervistati vede nell’immigrato un’insidia per l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone, il 36 per cento una minaccia per l’occupazione. Entrambi gli indicatori sono cresciuti di circa 5 punti rispetto al 2016, raggiungendo i valori più alti dal 2007.

Questi risultati rivelano una convinzione di fondo, l’idea cioè che gli stranieri delinquano perché antropologicamente portati a farlo, come se la criminalità risiedesse in un gene, o in una tradizione culturale.

Ma è davvero così? Dati alla mano, la risposta è una sola e molto chiara: no. Ecco perché.

Leggi anche: Dieci bufale sui migranti a cui i populisti vogliono farvi credere

Ragioniamo per assurdo: se esistesse una vera correlazione tra immigrazione e criminalità, all’aumentata presenza di stranieri nel nostro territorio (dai 4 milioni del 2011 ai di 5 milioni del 2017) sarebbe dovuto conseguire un parallelo aumento dei crimini commessi.

Secondo quanto evidenziato in questo fact-checking di Agi, invece, i delitti denunciati alle autorità nel 2015 sono circa 250mila in meno rispetto a quelli denunciati nel 2007, prima che iniziasse la cosiddetta “emergenza migranti”.

Il numero di reati noti è calato con l’aumento degli stranieri in Italia: non c’è quindi alcuna automatica correlazione.

Leggi anche: Quanti sono davvero gli immigrati in Italia

Da cosa deriva questa percezione sbagliata? Sono numerosi i fattori inquinanti che contribuiscono a creare una rappresentazione fallace del fenomeno. Ecco quali sono.

I reati visibili

Una prima distinzione va compiuta sul piano della tipologia di reati compiuti.

Come riportato in questo rapporto dell’ISTAT “gli stranieri sono imputati principalmente per furto, violazione delle norme sugli stupefacenti e lesioni, cioè per reati che impattano maggiormente sulla percezione della criminalità”.

Non si tratta dei reati più diffusi, né di quelli considerati più gravi dal codice penale, ma di crimini che per la loro dimensione quotidiana hanno un effetto più diretto sui cittadini.

I dati sugli stupri

Il reato forse più spesso attribuito agli stranieri è lo stupro, grazie a dati a tutti gli effetti impressionanti: il 37 per cento degli stupri denunciati è stato compiuto da uno straniero.

Leggi anche: È vero che gli immigrati compiono più stupri degli italiani?

Esperti di ogni bandiera sottolineano tuttavia che le violenze sessuali denunciate sono solo una piccola parte di quelle compiute, e soprattutto per questo tipo di reato i due tipi dati non sono interscambiabili.

“Ricordiamoci che una donna che subisce violenza 8 volte su 10 non chiede aiuto, secondo l’Istat”, ha spiegato a TPI Anna Costanza Baldry, psicologa e criminologa dell’università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli.

Numerosi casi di violenza avvengono infatti in famiglia, ad opera del partner o di una persona conosciuta, cosa che tende a far crescere nella vittima il timore di denunciare.

Il fenomeno è quindi tanto più sommerso quanto più l’autore dello stesso è vicino alla vittima: si ipotizza quindi che, nella maggior parte dei casi, le violenze non denunciate in Italia siano perpetrate da italiani.

Gli stranieri in carcere

Un altro dei dati più invocati per mostrare l’alto tasso di criminalità tra gli stranieri è quello sulla popolazione carceraria. A fine 2016, il 34 per cento dei detenuti nelle carceri italiane era di nazionalità straniera.

Una realtà certamente impressionante, specialmente dal momento che gli stranieri costituiscono poco più dell’8 per cento della popolazione residente in Italia.

Questo può facilmente portare alla (errata) deduzione che gli immigrati delinquano maggiormente.

Il dato è però inficiato dal fatto che la maggior parte degli imputati stranieri, specie se irregolari, non ha la possibilità di permettersi un avvocato diverso da quello d’ufficio, cosa che risulta in un minore accesso alle misure alternative alla detenzione.

In pochi tra i detenuti stranieri devono scontare condanne definitive: molti si trovano in carcere per una misura preventiva, non potendo accedere alle misure alternative per mancanza di una solida difesa o di alcuni requisiti (per gli arresti domiciliari, ad esempio, serve una casa).

Un altro fattore che inquina la veridicità del dato riguarda la sovrapposizione di varie categorie: tanto tra gli italiani quanto tra gli stranieri si registrano maggiori tassi di criminalità tra i giovani e tra le fasce sociali più povere.

Dal momento che la popolazione straniera che si trova in Italia è mediamente molto più giovane e più povera di quella italiana, il maggior tasso di criminalità si spiega spesso non tanto con la provenienza quanto con l’appartenenza ad una di queste categorie.

Infine e soprattutto occorre distinguere tra stranieri regolari e irregolari: tra gli immigrati regolari il numero di detenuti è infatti in proporzione uguale a quello degli italiani (meno del cinque per cento della popolazione).

Il reato di clandestinità

È proprio questo il fattore che più di tutti incide sul tasso di criminalità.

Per via di questa fattispecie, introdotta dalla legge Bossi-Fini del 2002, commette reato chiunque entri nel territorio italiano se privo di un incarico di lavoro e dei requisiti per chiedere diritto d’asilo o protezione umanitaria.

Si tratta per la maggiora parte dei cosiddetti “migranti economici”, ma anche di chi, in fuga da una persecuzione, non riesca a dimostrarlo davanti alle commissioni territoriali.

Leggi anche: Quando lo stato si gira dall’altra parte: ecco chi tappa le falle del sistema di accoglienza italiano

In quanto irregolari, questi migranti sono come spettri per lo stato italiano: quelli che riescono a sfuggire dall’espulsione non possono trovare un lavoro, né accedere alle cure (se non quelle emergenziali) e agli altri servizi statali.

L’unico modo per guadagnarsi da vivere rimanendo in Italia è quindi passando per vie illegali, lavorando in nero, rimanendo spesso invischiati nelle maglie della criminalità organizzata e dello sfruttamento ad opera dei caporali.

Come riportato dall’ISTAT una parte degli imputati stranieri è colpevole di reati legati alla condizione di immigrato irregolare: nel 2009 quasi 30mila cittadini nati all’estero (il 20,6 per cento del totale) sono stati imputati per l’irregolarità della loro presenza sul territorio italiano.

Alcuni studi mostrano come la regolarizzazione dei clandestini portererebbe infatti ad un calo nei crimini commessi.

I beneficiari dei “decreti flussi”, che l’Italia ha smesso di approvare dal 2011 e che consentivano di ottenere permessi di soggiorno temporanei per la ricerca di un lavoro, commettevano infatti molti meno reati rispetto ai migranti irregolari.

 

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