Condannata per tortura
In più di un'occasione, l'Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per casi di torture e maltrattamenti
Il 26 giugno si celebra la giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura. La ricorrenza fu istituita dalle Nazioni Unite nel 1997, per commemorare due date importanti: quella del 26 giugno 1948, quando fu siglata la Carta delle Nazioni Unite per il rispetto dei diritti umani, e quella del 26 giugno 1984, quando entrò in vigore la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Finora l’accordo è stato ratificato da 157 Paesi, tra cui l’Italia.
Nonostante sia tra i firmatari della Convenzione, in più di un’occasione l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per casi di torture e maltrattamenti. Secondo i giudici di Strasburgo, l’Italia ha più volte violato l’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che recita: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
Il 7 aprile 2015 la Corte di Strasburgo condannò l’Italia per le torture e le violenze ad opera dalle forze dell’ordine durante il summit del G8 di Genova. Nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, la polizia fece irruzione alla scuola Diaz e picchiò brutalmente i manifestanti anti-G8 e le altre persone che si trovavano nell’edificio. I giudici della Corte europea dichiararono all’unanimità che in quell’occasione l’Italia violò l’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani.
Il ricorso era stato presentato da Arnaldo Cestaro, 62enne all’epoca dei fatti, che denunciò di essere stato picchiato dagli agenti nonostante non avesse opposto alcuna resistenza. La Corte ordinò all’Italia di risarcire Cestaro con un pagamento di 45mila euro.
Altri casi emblematici
– Il 26 giugno del 2014 l’Italia fu condannata dalla Corte di Strasburgo in merito al caso di Dimitri Alberti. L’uomo fu fermato dai carabinieri l’11 marzo 2010 davanti al Café Tiffany di Cerea, in provincia di Verona, con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Ma arrivò in carcere quattro ore dopo con alcune costole fratturate e un grosso ematoma sul testicolo sinistro. All’epoca aveva 38 anni.
In seguito, durante l’inchiesta che venne aperta dalla procura di Verona, le forze dell’ordine dissero che si era procurato quei danni da solo. Lui, invece, sostenne di essere stato malmenato quando già si trovava con le mani bloccate dietro la schiena. La questione venne poi archiviata, finché il 25 giugno 2014 la Corte Europea dei Diritti Umani si pronunciò a riguardo, dichiarando che lo stato italiano avrebbe dovuto risarcire Alberti con 15 mila euro.
– Il 23 febbraio del 2012 la Corte europea ha stabilito che il respingimento verso Tripoli di 24 immigrati nel maggio del 2009 – appartenenti a un gruppo di circa 200 persone somale ed eritree – operato dalle navi militari italiane costituisce violazione dell’articolo 3 e violazione del divieto di espulsioni collettive.
– Il 29 gennaio del 2013 la Corte si espresse in merito al caso di Bruno Cirillo, decretando che all’uomo spettava un risarcimento di 13mila euro. L’uomo, detenuto nel carcere di Foggia, era affetto da una paralisi parziale al braccio sinistro ma, secondo la Corte, non ricevette trattamenti medici adeguati.
– L’8 gennaio del 2013 la Corte europea, con la sentenza sul caso Torreggiani e altri sette detenuti nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, ha condannato l’Italia per le condizioni in cui si trovavano reclusi: in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione.
Le legislazione in Italia
L’Italia ha sottoscritto la Convenzione contro la tortura, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1984 ed entrata in vigore il 27 giugno 1987. La prima versione della Convenzione europea per i diritti dell’uomo (Cedu) venne approvata nel 1950.
Il 5 marzo 2014 il Senato italiano ha approvato il disegno di legge Manconi, che introduce il reato di tortura, ma con dei limiti: in primo luogo la definisce un reato comune che eventualmente, quando commesso da un pubblico ufficiale, trova un’aggravante. Inoltre, secondo Amnesty, la proposta circoscrive la tortura soltanto a una violenza reiterata, escludendo casi come quello di Bolzaneto.
Il disegno è passato alla Camera con alcune modifiche ed è in attesa della seconda lettura e approvazione del Senato. Se verrà approvato, l’articolo 613-bis del Codice penale prevederà la reclusione da 3 a 10 anni, da 5 a 12 se il colpevole è un pubblico ufficiale, 30 in caso di morte accidentale del torturato e infine ergastolo in caso di morte volontaria.